FREUD: LA DIREZIONE DELLA CURA

Freud nel 1897 compie un passo decisivo. Cambia la tecnica passando all’associazione diretta a partire dal sintomo con la libera associazione. Invita i suoi analizzanti a a dire quello che gli viene senza scartare, astenendosi a partire da qualcosa che e conscio. È il momento in cui si enuncia la regola fondamentale dell’analisi. Non si tratta più di occuparsi dei sintomi presi uno a uno separatamente.

 E qui che interviene il passaggio definitivo dalla posizione di medico a quello di psicanalista.

 L’avvento di una nuova tecnica dell’associazione libera e della posizione dell’analista al di fuori della vita del paziente era stato preceduto dal passaggio della posizione del trauma alla teoria del fantasma come fondamento del sintomo. Il nucleo patogeno non è piu la sede del ricordo di un evento reale, ma piuttosto la sede di un fantasma che sta alla bese del sintomo. All’inizio il fantasma è ancora connesso alla seduzione paterna, ma dopo poco tempo sentiamo vacillare la convinzione di Freud rispetto a tale connessione. Nel 1897 si arrende alla constatazione che la teoria della seduzione da parte del padre è un suo fantasma.

 La finalità della cura psicoanalitica cambia. E la tecnica si modifica di conseguenza. Si tratta ora di intendere, nel dire dell’analizzante quale sia il desiderio, sempre inconscio, e il fantasma che lo sostiene. L’interpretazione del sintomo dipende dall’identificazione del fantasma, che avviene decifrando il sintomo. Comincia cosi a profilarsi la natura edipica del fantasma. E la difesa va contro la libido che si assicura un posto nell’inconscio e il sintomo appare come un compromesso tra fantasma e rimozione e il compromesso derivante tra l’Io e il rimosso. Inoltre il sintomo ha un senso vale a dire ha un messaggio cifrato rivolto all’Altro, un messaggio che ha a che fare con la questione sessuale che dipende da un godimento sessuale traumatizzante (si vede il godimento del “fapipi”del piccolo Hans, 1908). Al posto di questa simbolizzazione impossibile si inscrive una traccia sessuale si inscrive una traccia, a cui Lacan nel 1957 darà il nome di significante enigmatico del trauma sessuale

 Nel 1925 in Inibizione e sintomo d’angoscia, Freud affermerà che il sintomo è il risultato del processo di rimozione e funzione come segno e sostituto di un soddisfacimento pulsionale che non ha avuto luogo.

Dopo il 1920, con la seconda topica e con "al di là del principio di piacere", Freud cambia la sua concezione delle ripetizione, che situa ora come la di la del principio di piacere, associandola a un principio di godimento in cui la pulsione di morte domina il sintomo, e quindi quest'ultimo subisce le conseguenze di questa nuova concezione: la ripetizione diventa godimento e cioè, un soddisfacimento inconscio sentita dal soggetto come sofferenza, che ripetendosi a sua insaputa si percepisce come dispiacere. In questa ottica il sintomo oltre a essere un dispositivo di sostituzione per la realizzazione del soddisfacimento della pulsione parziale a cui il soggetto deve rinunciare, diventa un misto di verità e godimento. masochistico.

Clinicamente è importante distinguere il sintomo come messaggio, come metafora che ha a che fare con il linguaggio e permettere la decifrazione del godimento che contiene, dal sintomo come spostamento, che aiuta la migrazione del godimento.

 Ciò che appare costante in Freud, a partire della teoria della seduzione sino alla fine dell'elaborazione della sua pratica come analista, è l'associazione tra il sintomo, la nozione di curabile/incurabile e la questione della direzione della cura.

 Quando si interpella un medico, è con l'idea che egli avrà la soluzione per sopprimere il sintomo, di cui si tratta.  Quando qualcuno si rivolge a uno psicoanalista, la prima cosa è piuttosto sapere che cosa vuole. Vale dire, ci si attende che formuli una domanda, che essendo inesauribile finirà per costruire un sintomo. Dal punto di vista psicoanalitico il sintomo esiste soltanto a partire dalla formulazione della domanda. Si comprende perciò  importante il sintomo esiste soltanto a partire dalla formulazione della domanda. Si comprende perciò come innanzitutto sia importante, nei colloqui preliminari, far si che  sorga una domanda che si interroghi sul rapporto tra soggetto e inconscio, un sapere supposto. Possiamo perciò dire che ogni sintomo è un segno, ma che in psicoanalisi dobbiamo domandarci di che cosa è sia segno. La prima risposta di Freud è stata che il sintomo, fenomeno di corpo, è segno di un altro fenomeno di corpo, che ha chiamato pulsione. Il sintomo assicura il ritorno di una pulsione rimossa. E' un rebus proprio come il sogno, in cui c'è dunque la presenza nascosta di qualcosa di pulsionale.

  Il sintomo è quindi, secondo la prima formulazione freudiana, il sostituto di un soddisfacimento sessuale, vale a dire la realizzazione criptata di un desiderio sessuale. Quello che Freud intende per sessuale è la presenza delle pulsioni parziali che ha cominciato a enumerare nei "tre saggi della teoria sessuale (1905): la pulsione orale, la pulsione anale, alle quali si aggiungono la pulsione invocante e quella voyeuristica, che sono asessuate. Il desiderio eterosessuale o omosessuale e lo stesso. Negli esseri parlanti è un problema e che si tratta di capire come i parlanti, a partire dalle pulsioni parziali, giungono a una relazione con un altro corpo. 

La posta in gioco della fine analisi si pone a livello del sintomo come Freud non manca di ribadire in "analisi terminabile e interminabile (1937). Questo testo scritto due anni prima di morire, è una risposta ai suoi allievi che vorrebbero accorciare le analisi. Questo saggio cerca di rispondere ai suoi allievi come Otto Rannk a farli desistere alla suggestione dello stile Americano. Per mettere in guardia gli analisti di questo errore Freud cita il caso "dell'uomo dei lupi" per fare intendere che un analisi può fallire se si mira ad ottenere successi veloci, poichè l'Io potrebbe essere incapace di reggere a forte spinte pulsionali. 

 

Pulsioni e atto psicoanalitico in Freud.

Pulsioni versus istinto.

Il concetto di pulsione, benchè formalizzato da Freud solo nel 1905 nei "tre saggi sulla teoria sessuale", compare fin dai primi suoi scritti. Intorno al 1895, infatti egli individua due diversi tipi di "eccitamento" a cui l'organismo è sottoposto: gli eccitamenti esogeni, proveniente dall'esterno dell'organismo, a cui è possibile sottrarsi con la fuga e degli eccitamenti "endogeni", che provengono all'interno dall'organismo. Nel "Progetto di una psicologia" (1895) sottolinea che, per potersi soddisfare, gli eccitamenti endogeni necessita di quello che chiama "un aiuto esterno" e che questo intervento esterno incide in maniera fondamentale su tutto quello che ne sarà del soddisfacimento di tali bisogno. Freud sottolinea che a partire da tale intervento esterno, per il quale non esiste nell'essere umano una modalità univoca, la tensione endogena cosi come il suo soddisfacimento saranno legati da allora in poi a quelle che chiama "immagini mnestiche" e dalle "rappresentazioni". La "pura" necessità fisiologica ne risulta cosi snaturata. in quanto correlata fin da subito con la modalità particolare con cui l'altro avrà dato la sua interpretazione e avrà accompagnato o menocon particolari parole l'esperienza di soddisfacimento di quel bisogno. Le esperienze e le parole, le interpretazioni, le attese, il desiderio che accompagna, campi che saranno, da allora inscindibilmente legati. Fin da subito quindi, Freud mette in rilievo la non naturalità dei bisogni cosi come i soddisfacimenti umani, prendendo le distanze dalla nozione di istinto e costruendo le basi per quello che diventerà il concetto di pulsione.

La pulsione fra psichico e somatico. Nei tre Saggi della teoria sessuale Freud riprende la nozione di pulsione sessuale e giunge a dare la prima definizione di questo concetto dicendo: Per pulsione noi innanzitutto non possiamo intendere nient'altro che la rappresentazione psichica di una fonte di stimolo in continuo flusso, endosomatica (...)La pulsione cosi è uno dei concetti che stanno al limite tra lo psichico e il corporeo (p.479). Ciò che occorre sottolineare in questa definizione è che la pulsione consiste in una rappresentazione psichica: lo "stimolo endopsichico" du cui parla Freud non ha modo di farsi presente per quegli esseri presi nel linguaggio che noi siamo, se non attraverso le parole, le rappresentazioni, dunque gli elementi di linguaggio. 

Montaggio pulsionale In "Pulsione e i loro destini" ( 1915) Freud riprende alcuni "termini fondamentali" usati in relazioni alle pulsioni che riassumo brevemente. 

L'elemento motorio della pulsione è chiamato "spinta". La pulsione esercita una spinta è questo il suo carattere essenziale; 

la "meta" della pulsione è il soddisfacimento; più vie possono condurre a questa meta, e si possono dare ogni volta mete prossime o intermedie come soddisfacimenti parziali, tenendo conto che i soddisfacimenti sono sempre parziali;

l'oggetto della pulsione è l'elemento più variabile, e può maturare attraverso sostituzioni cioè attraverso operazioni che presuppongono un'equivalenza simbolica, di linguaggio: è infatti solo in un universo di linguaggio che due oggetti possono equivalersi; 

la "fonte" della pulsione, cioè il processo somatico da cui essa deriverebbe, non è attingibile per noi. Freud lo dice cosi: "La pulsione non ci è nota nella vita psichica che attraverso le sue mete" (p.19).

E' Jaques Lacan che, nel suo seminario del 1964 "I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi", commentando questo testo di Freud, parla di "montaggio pulsionale", per indicare il carattere non lineare e paradossale di questi aspetti della pulsione messi in luce da Freud: una spinta che non segue la logica del bisogno e del suo soddisfacimento, ma che permane costante, una meta - il soddisfacimento - che è sempre parziale, un oggetto che è completamente indifferente rispetto al soddisfarsi della pulsione stessa, e una fonte di cui nulla si può sapere.       

 

Pulsione e rimozione 

 

"Il soddisfacimento di una pulsione è sempre piacevole", scrive Freud in "La rimozione" (1915 p.36); considerando tuttavia che la nozione di "piacere" in Freud non è per nulla intuitiva: il piacere corrisponde infatti a uno stato il più possibile vicino all'aeesnza di stimoli. E' tuttavia in apparente contraddizione con questa affermazione, Freud ci dice anche che "può essere destino di un moto pulsionale urtare contro resistenze che mirano a renderlo inefficace" (ibid.) e questo avviene attraverso la rimozione. Risolvere la contraddizione partendo dall'esperienza clinica, da cui si apprende che "il soddisfacimento della pulsione soggetta a rimozione sarebbe ben possibile, e che inoltre sarebbe di per se sempre piacevole; tale soddisfacimento sarebbe però inconciliabile con altre esigenze e propositi"(p.37). Dunque, ciò che Freud constata nell'esperienza è che in relazione alla pulsione si produce un conflitto a partire dal quale si attiva il meccanismo della rimozione.

Piu Avanti però egli aggiunge due elementi importanti per comprendere la struttura di cui si tratta e anche l'operazione che l'analisi può compiere.  In primo luogo, Freud sottolinea che ciò che viene rimosso non è la pulsione ma la sua "rappresentanza" psichica o "rappresentanza della rappresentazione" (Vorstellungsrepràsentanz), che soggiace a quella che lui chiama la "rimozione originaria".  Successivamente vi sarà una rimozione per cosi dire di secondo grado, che è la rimozione propriamente detta., sulla quale l'analisi può intervenire, e che colpisce i " derivati psichici della rappresentanza rimossa" e quei processi di pensiero che (...) sono incorsi in una relazione associativa con la rappresentazione rimossa" (p.38).

Dunque la rimozione si colloca a livello della rappresentazione. Essa però va distinta in due modalità, o due tempi logici: una rimozione originaria che costituisce il fondamento di ogni altra rimozione, e che rappresenta anche il limite del lavoro psicoanalitico, ciò che l'analisi non potrà scalfire, ciò che resta definitivamente perduto e non più "recuperabile", e la rimozione propriamente detta, che colpisce ciò che, attraverso legami associativi di carattere linguistico, può pervenire alla coscienza, in quelle "formazioni di compromesso, che sono i sintomi, le fantasie, i lapsus, i sogni, i motti di spirito, consentendo alla pulsione un "soddisfacimento sostitutivo" (p.44). Ciò comporta il fatto, di cui Freud ha fatto esperienza nella clinica, che i pazienti faticano ad abbandonare i loro sintomi, che inconsciamente si oppongono al lavoro psicoanalitico, in quanto i sintomi stessi di cui si lamentano sono delle modalità di soddisfacimento. 

Montaggio pulsionale e atto psicoanalitico. 

Ecco dunque che l'atto interpretativo, che è per Freud l'atto psicoanalitico per eccellenza, partendo da quelle che Freud chiama "propaggine - o derivati - del rimosso" (La rimozione p.39), mira al sollevamento della rimozione.

Freud annota infatti:  "il mantenimento di una rimozione implica (...) una costante emissione di energia e la sua eliminazione rappresenta, dal punto di vista economico, un risparmio" (p.41) L'associazione libera è qui indicata da Freud come la modalità per sollecitare "ininterrottamente il paziente a produrre quelle propaggini del rimosso che, per la loro lontananza o la loro deformazione riescono ad oltrepassare la censura della coscienza". Inoltre "è a partire da queste associazioni che noi riproduciamo una traduzione cosciente della rappresentazione rimossa" (p. 40).

Per Freud dunque l'interpretazione come atto psicoanalitico, ciò che nel contesto del transfert, consente di tradurre i nessi fra rappresentazioni coscienti e quelle inconsce legate al soddisfacimento pulsionale. CIò permette di risolvere il conflitto e produce un risparmio in termini di energia psichica. L'interpretazione quindi, è tale solo se coglie attraverso il nesso linguistico,  la modalità con cui la pulsione si soddisfa, producendo una effettiva modificazione, che Freud qui indica come "risparmio economico".

Dall'uomo dei topi
Prendiamo il caso clinico dell'uomo dei topi (1909), un piccolo esempio per dimostrare la relazione che possiamo leggere in Freud e nella sua clinica fra montaggio pulsionale e atto analitico.
L'uomo dei topi è cosi chiamato da Freud a partire dall'elemento rappresentativo intorno al quale si articola per questo soggetto il soddisfacimento pulsionale. I topi (ratten) compaiono nel racconto che il giovane ascolta dal capitano crudele e che riporta a Freud in una delle prime sedute. Freud non può non notare che in relazione a quell'episodio che ha scatenato l'angoscia dell'uomo dei topi si manifesta "l'orrore di un proprio piacere a lui stesso ignoto" (p.16). Qualcosa della pulsione costituita intorno all'oggetto anale si soddisfa in quella rappresentazione orribile e nel suo stesso raccontarla a Freud, nel transfert.
Il lavoro interpretativo a partire dalle libere associazioni, mette in luce il fatto che i nessi linguistici correlati al termine Ratten producono delle equivalenze a livello degli oggetti attraverso i quali la pulsione si soddisfa: ne elenchiamo solo alcuni. Ratten si associa per il soggetto a Raren (rata) e dunque al danaro, ma anche a Spielratte ( giocatore d'azzardo) termine riferito a un debito contratto dal padre del paziente e mai pagato. Ratten rimanda anche al pericolo di infezioni che il paziente associa alla sifilite e alla prostituzione, da lui particolarmente aborrita, in cui entra in gioco il danaro (Raten). La parola rimanda anche a heiraten (sposarsi) e alla fiaba La famiglia dei topi di Ibsen, richiamata dal paziente in cui appare un personaggio, il piccolo Eyolf, termine da cui si diparte un'ulteriore catena associativa: "piccolo", infatti in tedesco è usato sia per il bambino che per il pene, termini questi a cui la stessa parola rimanda (Ratten).
In questo intrigo di associazioni che, come ben vediamo, non sono lineari ma, come dice Freud, sovradeterminate, ciò che per il paziente si produce è la constatazione della variabilità dell'oggetto su cui la pulsione si appoggia per potersi soddisfare. Possiamo dire che l'uomo dei topi, a livello inconscio, topi, danaro, bambino, ecc. sono equivalenti.
Inoltre sempre a partire dalla parola Ratten e dal racconto del capitano crudele, si produce un'ulteriore associazione, che rimanda dai topi che si infilano nell'ano evocati nel racconto del capitano, ai topi che mordono e infine al mordere del soggetto nella sua infanzia. La pulsione orale si trova correlata a quella anale, in una sorta di continuum in cui si modificano gli oggetti e le zone erogene, ma il soddisfacimento si ripresenta. Ancora attraverso a un'inversione grammaticale. il "mordere" e il "picchiare" dell'uomo dei topi si traducono nel suo contrario, "essere morso", "essere picchiato", che si ritualizza nel transfert tanto per far temere al soggetto che Freud, nelle sedute, sia pronto a picchiarlo.

Se nella cura Freud mette particolarmente rilievo, che ciò che si presenta nel transfert e che può essere cosi interpretato è la dimensione edipica di amore e rivalità con il padre, di cui il paziente può cogliere la portata proprio attraverso il ripresentarsi dei medesimi elementi che avevano caratterizzato la sua relazione al padre nella relazione con l'analista, nello stesso tempo dimostra come il sintomo abbia un duplice funzione di tenere lontano dalla coscienza la rappresentazione intorno alla quale la pulsione si manifesta, ma anche di riportarla continuamente in rilievo, consentendone un "soddisfacimento" sostitutivo". Questo ripetersi di un soddisfacimento mortifero che l'interpretazione edipica non giunge a esaurire è ciò che Freud riprenderà più particolarmente in Al di là del principio di piacere (1920) e che chiamerà pulsione di morte. 

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