Cosa insegna di noi stessi la psicosi

SaggioAlessandro Nenna

Delirio, follia, pazzia, insensatezza, psicosi, malattia mentale… Tanti termini che servono ad indicare, per il senso comune, un’unica condizione in cui lo stato della Ragione non sembra avere alcuna autorità, dove regna l’Irrazionalità e l’assurdo. Questi divengono  i presupposti che ci mettono anche nella condizione  diseguire i propri istinti senza reprimerli, nuotando contro corrente, essere noi stessi e non preoccuparci di quello che ci circonda. La semplice sovrapposizione della parte che segue il nostro desiderio su quella invece che ci impone il linguaggio e la cultura che continuamente ci aliena sino a scrivere il “disegno del suo destino”[1]. Ci aliena ma al tempo stesso mantiene a distanza dalla vita animale che per definizione non ha regole non ha limiti aperto a tutto. Sappiamo grazie agli studi fatti da Freud, che il nostro comportamento ordinario non è altro che il risultato di un continuo processo dialettico tra la parte più selvaggia e disorganizzata del nostro essere con  il nostro bisogno identificarci e conformarci alla cultura, che incomincia dall’istante in cui scorgiamo per la prima volta l’immagine di noi stessi come soggetto [2]. Da quel momento in poi  l’uomo si fa carico di una serie di identificazioni che pretendono  concludersi con la propria “realizzazione” [3] che si scorge attraverso la domanda  di riconoscimento dell’altro[4]. Siamo però già a questo punto in una fase progredita della nostra ricerca del Sé perché la prima idea fondativa di noi stessi, incomincia attraverso un lavoro di immaginazione,  necessario per la costituzione  generativa del soggetto psicologico,  che poi a sua volta  necessita  di una svolta successiva   tale da permettere lo svincolo permanente dal  mondo fantasmatico dell’imago familiare. Tale svolta diviene auspicabile per permettere al soggetto di potersi riconosce attraverso strutture di comunicazioni che si organizzano attraverso sistemi simbolici che la sua cultura di appartenenza ha sviluppato, secondo il principio appartenente ad ogni cultura e sostenuto anche dalla filosofia strutturalista che è il divieto all’incesto[5]. Proprio perché il soggetto non è  costituito dal  mero risultato di una sua rappresentazione mentale o dal suo dialogo interiore  che intraprende con Sé stesso, la relazione con l’altro diviene necessario per costituire la sua domanda di riconoscimento che viene esercitata attraverso un processo continuo\discontinuo- presenza-assenza[6] di linguaggio. Questo modo dell’ esistenza, riesce  così a mantenere le distanze dal mondo senza regole ed aperto a tutto, caratteristico più del regno animale.. Se pur ci distanzia  però al tempo stesso i soggetti subiscono un processo di alienazione[7]  perché essendo  il linguaggio  il prodotto della cultura, il nostro parlare diviene  “il discorso dell’altro , “l’essere viene parlato [8]. Il segno per l’alienazione  ci viene dato soprattutto dal fortunato incontro con persone  che hanno saputo tramandarci l’inedito  modello identificativo,  non votato  ad avere un vantaggio contingente rispetto al piacere primordiale, ma  strutturato dal confronto dialettico con gli altri membri appartenenti alla nostra cultura basato soprattutto sui segni convenzionali della comunicazione. In cambio della nostra riconoscenza per esserci sottomessi a questo taglio inflitto dal Simbolo ci viene  data in eredità, la cultura e il nome proprio.

Penso che il processo  di ricerca di noi stessi e delle nostre aspirazioni  svolto sotto l’azione regolativa della cultura  sia posto  in equilibrio con il suo adattamento psico-sociale, anche se il prezzo da pagare per questo compromesso è alto perchè la conseguenza di questa alienazione, è quello di essere costretti  successivamente ad una paradossale ricerca di senso riguardo a qualcosa che non può essere più ricongiunto in quanto  andato perduto [9] dall’effetto separativo del simbolo culturale che impone un’azione educativa costretta a contenere e a mettere confini riguardo a sensazioni primordiali vissute per intero. Un semplice  aforisma letto in un libro   Zen che  è stato  efficace a rendermi l’idea di cosa significhi perdere la traccia dell’esperienza primordiale è questo: “Possiamo scrivere un libro sul descrivere come è il sapore del caffè, ma non sarà  mai sufficiente a far capire il sapore rispetto a quando lo bevi”. In questo caso il sapore del caffè bevuto è l’esperienza primordiale perduta, perchè  nominata, e dunque cercata  incessantemente per tutta la vita.   

L’azione dell’alienazione aspira anche a creare i presupposti di un processo di separazione [10] tale da non permettere di rimanere schiacciati da un’eccessiva pressione da parte dei rappresentanti attivatori del processo di scambio della cultura, che porterebbe ad inibire il processo di riconoscimento  attraverso i nuovi strumenti e sistemi che il linguaggio[11] ci offre. Lo strumento per eccellenza è sempre  quello che non si arroga il diritto di risolvere la questione, ma svolge questa funzione solo se inserito in un sistema organizzato da strumenti analoghi,  mantenendo la sua caratteristica di aleatorietà perché non consiste di nessuna sostanza[12], in tal senso la ricerca viene trasformata nella metafora della “mancanza ad essere”[13]. La funzione  dell’alienazione, con il conseguente processo di separazione non è  stata in grado di azzittire del tutto  le tracce mnestiche delle sensazioni del nostro corpo biologico [14],  che limitandosi, continuano ad essere circoscritte  in alcuni spazi presso di noi e al di fuori di noi [15]. Questi spazi possono anche dare  l’illusione di toccare la “Cosa” [16] chiamati a saturare il desiderio vuoto della mancanza ad essere,ponendosi in maniera illusoria come punti di arrivo. Ed è proprio in virtù di tale illusione che spesso vengono investite quantità di energie che poi risultano dispendiose perché non portano il risultato atteso. Lacan   riconoscerà come antecedente a questo concetto la teoria del plusvalore di Marx[17], seguendo la lettura di Althusser  mette in risalto il Marx, ricercatore delle leggi strutturali dell’economia capitalistica[18] che mette in conflitto gli uomini pretendendo tramite la dimensione materialistica, il ritorno della verità come tale nella faglia del sapere[19]. Con questo studio Lacan si collega anche a Freud sul Disagio della Civiltà.   Se pur insoddisfacente l’azione degli spazi illusori forse, li possiamo  considerare il valore limite e il punto di sospensione che mantiene il soggetto a brevi momenti di follia per sfuggire al prezzo che paga alla sottomissione della cultura.

Prima parlavo del processo mantenuto in equilibrio dall’azione regolativa della cultura tra adattamento e ricerca di Sé. Non ritengo che però questo stato sia sempre mantenuto costante. Questi sistemi complessi possono subire delle divergenze causate da mutamenti in ambito psico-sociale che  vanno a compromettere l’efficienza funzionale delle figure di riferimento nello svolgimento delle loro funzione psico-educative correndo il rischio di esercitare azioni troppo gravose o troppo deficitarie nei confronti dei soggetti a loro sotto-posti. La conseguenza potrebbe rendere deficitarie le risorse intrapsichiche capaci di reggere  periodi particolarmente  critici che pongono in bilico la vita del soggetto. Se la spinta di questi presupposti diviene troppo elevata,  l’azione alienante può essere tale da  assorbire tutta la presa nella ragione che pretende di eccedere, divenendo la condizione che procura la sensazione del  mal di vivere. Ritengo che i momenti di follia possano costituire le condizioni di questa conseguenza che sta a segnare il momento della rottura. In tal senso la follia tende di conseguenza a prendere sempre una posizione estrema ed assoluta senza che poi in seguito vi sia un rimedio, nè un ritorno, esiste solo la possibilità della creazione o della distruzione.  Cosa tende a recuperare la follia quindi?

Per quanto mi riguarda quando questi momenti  hanno preso luogo anche nella mia vita, hanno comunque generato grandi sensazioni di paura e sconforto  ed ansia sul futuro, sembrava davvero di essere entrati nel territorio della pazzia, non so davvero se possa descriverli come veri  momenti di follia, ma il fatto che decadevano tutte le certezze che mi ero costruito durante il corso della mia vita non faceva deporre per il meglio. Non avendo strumenti per leggerli ed essendo accadute in epoca assai diversa da questa in cui vivo,  successivi ai miei studi che, tra l’altro, intrapresi per le conseguenze di uno di questi, non so se possono essere tradotti con questa parola. Solo dopo anni dalla scossa e forse dopo accurati studi ho concluso che quei momenti, che allora  definivo  “maledetti” erano momenti che avrebbero trasformato definitivamente la mia vita e per mia fortuna anche in meglio. Ecco cosa mi ha insegnato la follia, è ciò che ti permette di aprire gli occhi quando stai perdendo te stesso a causa forse del troppo rincorrere un discorso fatto da altri e dalla tua certezza assoluta, che poi in realtà non condividi pienamente, capace di far perdere  di vista le strade che ti fanno ricongiungere con te stesso. Durante tutto il periodo folle proprio perché vengono annullati  tutti i riferimenti, ci si riappropria  nuovamente, anche se a duro prezzo, delle opportunità che pur avendole sotto mano  hai trascurato. Una di queste per me è stata il recupero dei sentimenti d’amicizia che nutrivo per amici di vecchia data, quelli che forse pensavi dato per scontato non avresti più incontrato, perchè dimenticati dall’obnubilamento provocato dal mantenimento del ruolo, che tende a svalutare ogni relazione che rimane al di fuori di questo. Ed il ritrovarsi in questi momenti  restituisce  come ordine di paradosso il presupposto principale alla formazione di ricordi più intensi e belli di una vita. Inoltre si diviene più capaci, perchè forse lo sguardo tende più verso l’orizzonte, di scorgere nuove occasioni, che diano la  possibilità di incontri, capaci di far nascere nuovi amori e per me uno di questi è stato l’amore per il sapere. Così  proprio quando tutto sembrava impossibile  perché  minacciato da un luogo e da un tempo che rimandava a  sensazioni spiacevoli, nasceva la possibilità di  riporre l’attenzione su fatti che il tempo e le abitudini avevano reso senza senso, dando luogo all’apertura a  possibilità inedite.

Possono quindi essere considerati davvero proficui i momenti di follia, quando effettivamente  costituiscono dei momenti di passaggio  che partono da dove  prima tutto   veniva garantito e che poi viene a mancare, divenendo chiavi di svolta per  l’appropriazione della propria capacità creatività.

Un’immagine significativa che descrive questo momento di passaggio viene egregiamente  illustrata da M. Foucault che evidenza nella ricostruzione simbolica della “stulifera navis”, un battello carico di alienati che si abbandona alle correnti dei fiumi Fiamminghi. L’acqua simboleggia la purificazione ed ognuno è abbandonato al proprio destino e pone la follia come situazione sospesa nella totale incertezza della navigazione. Questa separazione del pazzo è nello stesso tempo la separazione rigorosa e l’assoluto passaggio[20]. La valenza altamente simbolica rappresentata dalla nave dei folli  che riprendono il tema di una navigazione fantastica e immaginaria  è legittimo   ritrovarla in tutti i cicli della vita e ci fa conoscere che nella follia possiamo riconoscere lo statuto simbolico del limite stesso della cultura che viene costantemente riproposto perché continuamente oltrepassato. Spesso ritroviamo questo statuto anche riportato nei diversi campi del sapere dalle arti figurative, alla filosofia, e alla letteratura, basti ricordare Shakespeare, e Cervantes. 

Con questo  non si vuole dare elogio assoluto alla follia, perchè purtroppo non sempre esistono possibilità tali  che la situazione di passaggio possa evolversi a favore della creatività e delle possibilità inedite, e quindi che l’alienato possa  approdare ad isole felici portatrici di sentimenti  di innovazione. Non sarei mai così ingenuo da sostenere  questa tesi. Tutto ciò è possibile riscontrarlo nella letteratura  specifica della di casi clinici. Nelle drammatiche vicende di Schreber[21] per esempio, incapace di attuare  il legittimo passaggio, perchè l’inedito sistema di riconoscimento è stato disconfermato dal violento   investimento di potere  megalomane,  di un oscuro padre che lo ha privato del sentimento d’amore necessario per  permettere di stringere  il patto capace di condividere l’etica della parola che invece vorrebbe raggirare. La capacità della parola, permette infatti  di supplire alle improvvise mancanze dei presupposti che gli permettono di attraversare le crisi di passaggio. Quando non c’è stata più possibilità di mantenere i riferimenti che lo ancoravano alla sue vicende di vita, forse proprio perché troppo ancorato, è venuta meno la capacità di “separazione”  che da la possibilità di ricreare  nuove prospettive di vita, almeno in relazione alle possibilità della capacità dialettica con il  simbolo. l’unica possibilità  che ha avuto lo sfortunato protagonista, per mantenere una sorta di contatto con il mondo, forse perche desideroso di aver restituita la sua  dignità di soggetto, e per la disperazione di mantenere  acceso un barlume di speranza di vivere, è stata quella della ricreazione fantastica di personaggi bizzarri con cui tenere in piedi  un discorso svuotato di senso, tipico del delirio.

Oppure nel libro di  Althusser l’avvenire dura a lungo. Althusser costretto a perdersi nelle perpetue identificazioni immaginarie  a catena, avviate per sopperire all’indifferenza di una madre persa nell’eterna insoddisfazione di ciò che non può mai essere, e di un padre sfacciatamente opportunista.   Nell’identificazione poteva identificarsi anche lui rimandando anche l’immagine di sua madre con quello dello zio defunto. nelle figure maschili più autorevoli. Diventare il padre del padre perchè era il modo per darsi un padre immaginario visto che nella realtà era assente, comportandosi lui stesso da padre. La lunga serie di identificazioni  nel corso della sua adolescenza erano tutte accomunate dalla stesse motivazioni. Tutto questo artifizio serviva a sopperire al suo senso di inesistenza, sentendosi non in grado di avere rapporti affettivi era costretto per sopravvivere a farsi amare, costretto a sedurre e all’impostura. Abile a sedurre e a manipolare gli altri azionando e padroneggiando anche i più piccoli dettagli dei movimenti posturali. Tutto questo lavoro era stato fatto anche sui suoi genitori diventando il padre della madre imitando il loro personaggio e i loro atteggiamenti, al punto tale che stesso loro identificandosi con Althusser, proiettavano su di lui l’idea che avevano di loro stessi circa le loro nostalgia e le loro speranze. La sua genialità presa in prestito dalla necessità disperata di articolare questi artifizi, gli serviva per imparare da subito a divenire il personaggio preposto a farsi amare. Fortunatamente, la sua Genialità, non poteva cedere a tutto ciò e far passare inosservate le possibilità che offriva il suo lavoro filosofico e letterale nel fargli  scorgere che dietro al suo  rapporto con il Marxismo, si nascondeva la possibilità di punti di svolta incominciando dalle similitudini che aveva con l’oggetto del  suo inconscio. Da bambino si sentiva rinchiuso in un mondo ripetitivo, diretto dalle regole del desiderio di sua madre, organizzato non attraverso il contatto fisico, ma attraverso lo sguardo e l’occhio. Così evitava l’avvicinamento alle cose e la loro manipolazione con la scusa della fobia per la sporcizia. Divenendo l’occhio  il miglior organo speculativo  Althusser diviene  così il bambino voyeur. Quando guardava una ragazza non si sarebbe mai azzardato a toccarla e allo stesso tempo controllato dalla madre che lo guardava da dentro essendo anche il portatore dell’uomo che lei amava. (il bambino dell’occhio senza contatto). Con la scoperta del suo corpo si apre in lui la possibilità di vivere un’esperienza rivitalizzante, scoprire nuotando,  giocando, il muoversi di ogni suo muscolo come la riappropriazione del suo desiderio. Il marxismo  fu poi  la fine di ogni suo rapporto speculativo con la realtà incominciando da lui la critica speculativa d’ogni illusione. Nel marxismo si trova il primato della teoria del corpo attivo operante sulla coscienza passiva e speculativa. Il materialismo stesso. Contraddizione di ideale teorico nato dal desiderio della madre e dal lavoro della trasformazione della materia. La strada maestra per arrivare a Marx è stata spianata dalle letture di autori quali: Spinoza, Machiavelli e Rousseau. 

Nonostante ciò, l’essere sottomesso del povero protagonista alle nefaste influenze derivate  dalle vicende dei suoi complessi familiari[22]  non ha potuto evitare la drammatica vicenda dell’omicidio delle moglie Helen, anche se forse paradossalmente  la conseguenza a questo gesto estremo potrebbe aver voluto significare la caduta dell’incessante lavoro ossessivo dell’andi-rivieni speculare.

Sebbene questa analisi di come l’aspetto della follia possa determinare i comportamenti a seconda di come viene trattata, l’argomento  sembra mettersi a dimostrazione di come  la follia stessa simboleggi le soglie e i limiti che l’individuo attraversa nel suo momento di vita e di come  lo rende capace o meno  di ricreare modelli per sorreggerlo. In questo  modo è importante    cogliere la sfumatura che esiste in questa dimensione cercando di capire i vari livelli di integrazione e di complementarietà che la follia scambia con la sfera del genio e della saggezza. Nel testo di Foucault “le Parole e le Cose” [23] leggiamo di come la follia disgiunta dalle sue forme patologiche e rinchiusa nelle istituzioni mediche si concentra sulle evoluzioni epistemologiche delle scienze empiriche attraverso lo studio della ricerca di livelli dialettici esercitato attraverso il rovesciamento del linguaggio e dei valori tra i nomi e le cose. Analizzando le due figure della coppia oppositiva dell’uomo di genio e il malato di mente  si può scorgere la medesima struttura sia complementare che ambivalente: il genio e il malato di mente, funzioni e figure del tutto differenti a secondo dei ruoli ricoperti. Il genio che può esprimersi anche  come artista, scienziato, letterato, essendo colui che organizza gli strumenti pertinenti alla propria cultura, è capace di attuare un superamento degli stessi, portandoli anche alle loro estreme conseguenze, creandone altri nati dall’interagire della sua genialità con le tradizioni culturali, mentre il malato di mente nei  tratti simbolici della sua cultura non si riconosce affatto, inoltre una volta  scardinati risulta impossibile ricostruirne degli altri. In questo modo, non gli rimane che eliminare questi tratti trasformandoli nella contingenza dell’immediato differenziandolo in maniera evidente dalle norme stabilite[24].

 

Bibliografia

1)J. Lacan (1953)Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi in. Ind (1966),          scritti vol. 1 a cura di G.B. Contri, Einaudi Torino cit. p.272.

2) J. Lacan. Lo stadio dello specchio come formatore dello stadio dell’Io (1949) in scritti ,op Einaudi. cit p. 89

3) J. Lacan (1953)Funzione e campo…p.240

4) M. Recalcati J. Lacan  Desiderio godimento e soggettivazione ed. R Cortina 2013 cit p. 139

5) D. Scalmini. Lo strutturalismo.  Ed. Filosofia per tutti. P. 65

6) J. Lacan (1953)Funzione e campo…p.278

7) M. Recalcati J. Lacan  Desiderio godimento… p. 104

8) J. Lacan istanza della lettera nell’inconscio p.519

9) J. Lacan il Seminario  libro VII. L’etica della psicoanalisi (1960- 1961), Einaudi Torino 1994

10) M. Recalcati J. Lacan  Desiderio godimento… p.405

11) F. De Saussure. Corso di linguistica generale tr. It.Laterza Bari (1968)

12) M. Recalcati J. Lacan  Desiderio godimento… cit.p.117

13) Espressione di J.p.Sartre che in maniera analoga a Lacan ricerca il suo essere attraverso l’altro (Manque d’ètre) J.P. Sartre l’essere e il nulla cit. p.p. 685-696

14) M. Recalcati  L’uomo senza inconscio Ed Cortina p.119

15) Nel seminario XI p.256-257 Lacan chiarisce meglio questa fenomenologia dell’ oggetto a

16) . Lacan il Seminario  libro VII. L’etica della psicoanalisi (1960- 1961), Einaudi Torino 1994 p- 175

17) K. Marx, il Capitale. Critica dell’economia politica,tr.it. editore riuniti Roma(1989)

18) L. Althusser, E. Balibar, Leggere il Capitale, tr. It. Feltrinelli Milano (1980)

19) ]  Del soggetto finalmente in questione, in scritti Vol. 1 p.227 sul rapporto Lacan-Marx. Si vede il lavoro di P. Bruno, Lacan- passaur De Marx, l’invention du symptome, eres toulouse (2010)

20) M Foucault, storia nella follia nell’età classica, Milano Rizzoli 1976 pag. 24.

21) D.P.Schreber Memorie di un malato di nervi.

22) J Lacan. I complessi familiari 1938

23) M. Foucault. Le parole e le cose. Milano Rizzoli 1978 p.64

24) A. Fagioli Saggio La follia come statuto simbolico del limite p.4