Vedere attraverso il buco dello sguardo1

Véronique Voruz*

“In verità in psicoanalisi non c’è nulla da vedere e c’è tutto da dire. […] In questo naufragio delle immagini, ce ne sono tuttavia alcune che persistono [...]”2. La mia analisi è stata punteggiata da molteplici scansioni e interpretazioni. Tuttavia sono tre sogni che sono giunti a rivelare  e dunque a schiudere – come il parlessere fosse coordinato con il suo godimento; tre sogni, dunque, di passe, nella misura in cui, così come lo formula Jacques-Alain Miller, “La passe implica qualcosa come vedere la finestra e cogliere se stesso come soggetto della pulsione, vale a dire come ciò di cui godete facendone il giro in un costante insuccesso”3 – la finestra, vale a dire l’oggetto a come buco4.

Che cosa ho visto dunque attraverso il buco dello sguardo?

I – Vedere la “frase-immagine”5 del fantasma

Il primo sogno mi ha “risvegliata”: è quello di una scena di cucina cannibale che si svolge nel dietro le quinte di Pol Pot, dittatore di un popolo che io sapevo essere talvolta capace di divorare carne umana, cosa di cui venni a conoscenza tramite la figlia adottiva di mia zia, che è cambogiana. In questo sogno ho visto, attraverso il buco dello sguardo, la “frase-immagine” del mio fantasma, ridotta al suo assioma: “un bambino viene divorato”. Ho visto le coordinate della mia modalità di godimento, soggetto che s’immaginava divorato dall’altro. Era la mia risposta fantasmatica alla posizione di godimento di mia madre-martire, una posizione che aveva messo in scena sul modello dell’imperativo cristico pronunciato durante l’Ultima Cena: “Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo”. Posizione anche troppo reale, quando il corpo offerto in pasto sacrificale è un corpo amputato. Vedere la scena del fantasma tramite “la finestra che io costituivo”, mi risvegliò alla sua legge bronzea: cioè, che ciò di cui si trattava non era nient’altro che tale legge6.

II – Vedere la fissazione di godimento, il sintomo evento di corpo che itera7

Il secondo sogno mi ha “separata”: salendo per un cammino di montagna per le sue scorciatoie, provoco una frana voltandomi vedo una gamba “strappata”, emergere da un cumulo di pietre. Ne faccio una nominazione: “quella che è tira via”8. È un “nome di sinthomo”9, enunciato10 in una seduta, che è logicamente, l’ultima. È lo statuto del corpo-immagine che è in gioco qui. Ero stata messa al mondo come pezzo di ricambio per un Altro corpo, corpo in pezzi staccati. Separarsi senza strapparsi11, è così che avevo intitolato la mia prima testimonianza: la gamba “strappata” del sogno, mi permette di “vedere” il mio statuto di membro del corpo dell’Altro, statuto che mi ha causato molta angoscia, quando si è trattato di essere membro di qualcosa. Questa nominazione ha avuto un effetto sul godimento: non sono più quella che passa il suo tempo a “strapparsi dei testi dal corpo” all’ultimo minuto, e anche se il mio “stile pulsionale” come l’avevo chiamato a Question d’École, resta dell’ordine di un “non c’è tempo da perdere”12, posso sopportare di vivere al presente.

III – Vedere la matrice del superio

Il terzo sogno, sogno di outrepasse mi ha “alleggerita”: la mia posizione, tanto quella analitica quanto nella vita, conserva la traccia dei resti fantasmatici, di una posizione subordinata al “Prendete e mangiatene tutti”, ancora! Alla fine dell’estate di ritorno dalla montagna, ho sognato che io e mia madre eravamo in equilibrio tra due rocce, al di sopra del vuoto. Le urlavo di aiutarmi perché era lei che mi aveva messo in questa brutta situazione. Lei cadde. Guardai in basso e vidi il suo corpo sistemato, testa piedi, insieme a quello di mio padre, già caduto, nella posizione fetale dei gemelli che avevano perduto nel loro incidente. Vedere questa scena, che riorganizza gli elementi del romanzo familiare senza che io vi abbia niente a che fare, ha permesso la caduta del superio, della “superegoicità” – mia madre, partner del mio godimento. Mi sono ritrovata alleggerita di un godimento sacrificale “a voler dare tutto per la causa”, anche quella della psicoanalisi. Ma, a dimostrazione che il superio è motore del desiderio, invece di voler “chiacchierare” [causer] per la causa, è un “niente da dire”, che è venuto a chiudere la mia bocca su se stessa, in un ultimo mutamento del godimento orale.

Nel mio caso, vedere attraverso il buco dello sguardo, è ciò che mi ha permesso di individuare, dove l’immaginario del corpo si annodava al godimento. Nei tre sogni, io non sono rappresentata: vedo quel che ha catturato il mio godimento tramite “la finestra che costituivo”.

 

Traduzione di Francesca Carmignani

Revisione di Francesco Paolo Alexandre Madonia

8

 

Testo pronunciato il 6 novembre 2016 nella plenaria delle 46e Journées dell’ECF, prima sessione: Gli analisti della Scuola e l’oggetto sguardo. Pubblicato su L’HEBDO-BLOG n. 88, consultabile in http://www.hebdo-blog.fr/voir-par-le-trou-du-regard/

* Psicoanalista (Londra), Analista dell’École (A. E.), membro della New Lacanian School (NLS) e dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi (AMP).

2 J.-A. Miller, L’immagine regina, in Delucidazioni su Lacan, Antigone Edizioni, Milano 2008, pp. 394-395.

3 Ivi, p. 406. Traduzione leggermente modificata.

4 “Come buco, può essere equivalente alla cornice, alla finestra, che sono l’opposto dello specchio. In particolare, non possiamo cogliere l’oggetto (a) allo specchio. Lo dice Lacan, che vi ha riflettuto a lungo: l’oggetto (a) è infatti la finestra che costituiamo noi stessi aprendo gli occhi”. Ivi, p. 405.

5 Ivi, p. 397.

6 Cfr. J.-A. Miller et Alii, Lakant, Borla, Roma 2004.

7 Cfr. J.-A. Miller, L’Essere e l’Uno. Corso tenuto al Dipartimento di Psicoanalisi dell’Università di Parigi VIII nell’a.a. 2011-2012, in La Psicanalisi, n. 53-54, Astrolabio, Roma 2013, p. 206.

8 In francese: à l’arrache. L’espressione indica fare qualcosa frettolosamente, senza cura, tirare via un lavoro. Essa istituisce anche un rapporto con arracher, che significa “strappare”.

9 É. Laurent, Le “nom de jouissance” et la répétition, in La Cause freudienne, n. 49, Paris 2001, p. 31 [T.N.].

10 Secondo la formula: “Un dire è un modo della parola che si distingue dal fatto di fare evento”. J.-A. Miller, L’inconscio e il corpo parlante, in Il Corpo Parlante. Sull’inconscio nel secolo XXI, in Scilicet, Alpes, Roma 2016, p. XXIX.

11 V. Voruz, Se séparer sans s’arracher, in La Cause du désir, n. 92, Navarin, Paris 2016, pp. 169-174.

 

12 V. Voruz, Non c’è tempo da perdere, testimonianza al Convegno della SLP, Il tempo e l’atto nella pratica della psicoanalisi (Milano, 12 Giugno 2016). Pas de temps à perdre in Mental, n. 35, Janvier 2017.

Scrivi commento

Commenti: 0