Al di là dei nostri occhi. Il Reale dello sguardo lacaniano

Pietro Bianchi, leparoleelecose.it, 1 febbraio 2017

E’ uscito in questi giorni in inglese, per l’editore londinese Karnac, Jacques Lacan and Cinema: Imaginary, Gaze, Formalization di Pietro BianchiQuesto è il primo capitolo tradotto in italiano e riadattato per LPLC].

  1. Quentin Meillassoux. Un realismo anti-correlazionista

Uno dei grandi meriti del filosofo francese Quentin Meillassoux[1] – esponente di quella corrente di pensiero che è stata nominata del “realismo speculativo”[2] – è stato di rimettere al centro del dibattito filosofico contemporaneo[3] una delle domande più antiche e semplici della storia del pensiero, quella relativa alla conoscibilità della realtà. È possibile conoscere come è fatta la realtà indipendentemente dalla mediazione della nostra mente? Possiamo prescindere dalla condizione di esseri umani conoscenti e storicamente determinati ed elaborare un pensiero dell’assoluto? È lecito sostenere di avere accesso a quello che gli anglosassoni definiscono il “great outdoor”, il grande fuori, ovvero quello che è esistito, esiste ed esisterà indipendentemente dal nostro stare al mondo?

L’ambizione di domande del genere è evidentemente molto alta. Si tratta in primo luogo di mettere sul banco degli accusati gran parte della filosofia occidentale successiva alla svolta kantiana. Meillassoux ha inventato a questo riguardo un termine, “correlazionismo”, che vorrebbe sottolineare un tratto comune a correnti filosofiche molto diverse – l’empirismo, la tradizione kantiana, la fenomenologia, l’heideggerismo, l’idealismo, tutte le filosofie del linguaggio etc. –. Per Meillassoux questi sistemi di pensiero risiederebbero su un principio, elementare quanto arduo da mettere in discussione e che recita così: ogni oggetto è innanzitutto un oggetto di conoscenza per un soggetto. X è innanzitutto X nella sua datità a un soggetto. In altre parole ogniqualvolta consideriamo un elemento, sia concreto sia astratto, non possiamo che considerarlo in relazione (o in correlazione) a colui che lo conosce, pena incorrere in una contraddizione pragmatica.[4]

Una contraddizione pragmatica avviene quanto l’enunciato di una proposizione viene negato dalla sua enunciazione, come nel celebre esempio di “io non sto parlando”. Secondo il filosofo correlazionista sostenere che esista una realtà indipendente dalla mediazione del soggetto trascendentale costituirebbe uno degli esempi più lampanti di suddetta contraddizione. Come è possibile sostenere l’esistenza di una realtà indipendente dalla mediazione di un pensiero quando è nella forma di un pensiero che stiamo facendo tale asserzione? Non sta forse Meillassoux pensando nel momento in cui dichiara l’esistenza di una realtà indipendente dal pensiero? Le filosofie correlazioniste dunque pur nelle loro rilevanti differenze, sono concordi nel sostenere questa tesi: non è possibile considerare né un soggetto né un oggetto al di fuori della relazione che li lega. Ogni opzione filosofica realista non potrà mai essere assoluta, ma semmai solo relativa alla mediazione che in essa compie il soggetto trascendentale. O in altre parole non sarà mai possibile distinguere le proprietà assolute di un oggetto da quelle che invece sono relative a un soggetto della conoscenza dal momento che in ogni oggetto è da sempre inestricabilmente implicato un soggetto.

Non ci è possibile nei limiti di questo intervento ripercorrere tutte le stringenti argomentazioni portate a sostegno delle proprie tesi da quel cantiere filosofico di straordinario interesse che è il pensiero di Quentin Meillassoux. Ci basti però costatare che le critiche alle filosofie correlazioniste sono la precondizione essenziale per la costruzione di una filosofia realista capace di pensare il reale nella sua assolutezza e non solo nella sua relatività ad un soggetto della conoscenza. È in questo senso che si può dare una prima definizione che differenzi il concetto di realtà e quello di reale. Se infatti la prima non può essere separata dall’essere posta fenomenicamente dal soggetto trascendentale, il secondo invece se ne sottrae, costituendo semmai ciò che a questa realtà non cessa mai di venir meno. Nel presente contributo proveremo a declinare la proposta di un pensiero realista limitatamente a quella sfera particolare della realtà che è il campo visivo, mantenendo sullo sfondo i termini del dibattito così come sono stati delineati da Quentin Meillassoux. E per farlo faremo ricorso alle riflessioni sulla disgiunzione tra realtà e reale del visivo che si trovano nell’insegnamento di Jacques Lacan.

2. Lacan e il visivo, tra reale e realtà

Normalmente nella letteratura lacaniana si usa dire che le riflessioni di Jacques Lacan sul reale del campo visivo siano contenute in due corsi seminariali della metà degli anni Sessanta: I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi[5] del 1964 e L’objet de la psychanalyse[6] del 1965-1966. In realtà per comprendere il pensiero dello psicoanalista francese sulla visione è impossibile non prendere in considerazione l’interezza del suo insegnamento. Prima di presentare la riflessione che Lacan sviluppa sul reale del visivo, altrimenti definito oggetto-sguardo, e che avviene negli anni della maturità del suo pensiero, faremo un breve detour in quella che è stata fino agli anni Sessanta l’interpretazione dominante del lacanismo nei confronti del campo visivo, ovvero il visivo come immaginario. Questo passaggio intermedio è necessario per constatare come nel pensiero di Lacan il visivo sia stato per molti anni il principio costitutivo della realtà nel suo darsi fenomenico all’esperienza di un soggetto. È solo con il seminario del 1964 che Lacan compie un’audace inversione di rotta attraverso cui il visivo diventa segno dell’emersione di un reale irriducibile sia alla realtà sia alla mediazione del soggetto della conoscenza. La scissione che separa realtà e reale si riproduce in Lacan all’interno del campo visivo: che è per un verso principio cardine della consistenza dell’esperienza della realtà (come immaginario), mentre dall’altro è elemento di irriducibilità alla realtà (come oggetto-sguardo). Vedremo ora in che senso.

Segue qui:

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