Fallo in cina

… Dagli anni cinquanta, Lacan usa il termine “parlante” per designare un esistente parlante, un animale che usa la parola, o per riprendere la formula cinese che si riferisce a “tutte le cose” , tutto l’esistente: le “diecimila cose”, wanwu 万物 che parlano.

"Ritornando  da un viaggio in Giappone" Decisiva è stata la condizione di litorale entrata in gioco solo al ritorno perché il soggiorno in Giappone mi ha dato “un tantino troppo” (eccedenza) di quella lettera che caratterizza la lingua giapponese e che è la condizione del litorale. Questo troppo proviene da quanto ne veicola l’arte», in particolare la calligrafia che celebra le “nozze” della pittura con la lettera.

È François Cheng ad illuminarci su queste “nozze” in Vide et plein un libro che ha dedicato a Lacan perché con lui, dal 1969 al 1973, una o più volte a settimana, ha studiato i testi di Lao-tzu e Shih-t’ao. Esistono varie testimonianze di questi incontri in cui Cheng descrive il modo in cui Lacan leggeva i testi, come li interrogava, quali temi lo interessavano di più e, soprattutto, come cercasse dei punti di congiunzione con la sua teoria.

Lacan appariva molto interessato a quel che Cheng chiama il “Tratto del pennello”, molto affine al “tratto unario” di cui parla lo psicanalista. Due qualità in particolare li accomunano: il tratto scava un vuoto e allo stesso tempo assicura una singolarità.

 

Già anni prima, in La logica del fantasma (1966-1967), Lacan ha citato Shih-t’ao e la teoria del “Tratto” (o della “Traccia”) lasciata dal pittore, per spiegare come il “tratto unario” organizzi l’identificazione simbolica del soggetto. Il tratto unario, o i tratti unari, si instaurano a supporto di quanto resta carente nell’immagine narcisistica che si costituisce durante la fase dello specchio – fase in cui lo specchio funziona come oggetto reale.

Nella formazione di questa immagine, ci sarà un elemento che non si riflette, un punto che resterà oscuro e che decompleterà l’unità dell’immagine (un trou al livello dello specchio). Rispetto a questo elemento non assorbito dall’immagine, il bambino preleverà un tratto nel campo dell’Altro (la madre), dal corpo o dalle parole di lei, che produrrà un’identificazione simbolica capace di restituire a quell’immagine un’unità ideale e durevole. Il tratto interviene a rompere e, insieme, a risanare l’unità narcisistica dell’io.

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