La mancanza e il desiderio

Mi manca mio marito.” “Se avessi il denaro per ….” “Ho perso qualcosa a cui tenevo.” “Vorrei non avere più questo sintomo…” “Non riesco a liberarmi di lei.” “Se riuscissi a non fare più….” Numerosi incontri in studio partono da una mancanza, oppure da un eccesso, che potremmo chiamare  mancanza della mancanza.

Nel primo caso, il presupposto è che non ho qualcosa e suppongo che se lo avessi, sarei felice. Nel secondo, è sottinteso che se non avessi qualcosa, starei molto meglio. In entrambe le situazioni, il discorso è sul registro dell’avere. Così come le persone che, apparentemente hanno tutto, e dichiarano un “Non so cosa mi manca.”

Denunciano in tal modo che, pur avendo tutto, si può star male, tanto da chiedere aiuto.

Ma l’essere propriamente umano può identificarsi completamente a ciò che ha, o non ha, a cosa sa fare o non sa fare? La dimensione esistenziale dell’essere umano non può esaurirsi sul lato dell’avere, eppure dichiara di soffrire a causa di ciò che ha o che non ha.

C’è una logica in questo apparente paradosso.

Come si può definire l’essenza dell’essere umano, il suo cuore, cosa gli dà una consistenza?

Possiamo chiamarla anima, soffio vitale, Sé o Io, ma in realtà non può essere definito. Le identificazioni sono una cosa, l’essere un'altra. Freud parla dell’Io come di una cipolla: ha tanti strati, ma al suo cuore c’è un vuoto, una inconsistenza.

Provate a pensare ed a descrivere voi stessi.

 

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