Thanopulos: “Il dono e la carità”

di Sarantis Thanopulos, ilmanifesto.info, 10 ottobre 2014

Con un un decreto di legge appro­vato dal Senato il 4 Otto­bre, festa di San Fran­ce­sco, è stato dichia­rato «giorno del dono». La prima volta di que­sta nuova ricor­renza è stata cele­brata in tutta l’Italia con dibat­titi e mani­fe­sta­zioni cul­tu­rali. Il dono è spesso oggetto rituale di scambi stru­men­tali o inu­tili, privi di inten­sità emo­tiva, e re-interrogarsi sul suo signi­fi­cato potrebbe essere una cosa buona.

A con­di­zione di non con­fon­derlo con la carità, il soc­corso com­pas­sio­ne­vole dei biso­gnosi, che si sta affer­mando come la più auten­tica dispo­ni­bi­lità nei con­fronti degli altri (com­plice l’aumento della diseguaglianza).

Nella sua cele­bre defi­ni­zione dello scam­bio di doni, Mar­cel Mauss pro­pone una sequenza di tre momenti: dare — rice­vere — ricam­biare. Il primo momento è attual­mente in grave dif­fi­coltà per­ché richiede un’esposizione all’altro senza garan­zie pre­ven­tive che può essere defi­nita, nei ter­mini di un ossi­moro, come reci­pro­cità unilaterale.

Il dono è in primo luogo un atto d’amore. Ha le sue radici nel primo amore del bam­bino: la pas­sione per la madre. L’amore non è auten­tico, vero senza una com­po­nente pas­sio­nale che ignora le ragioni dell’oggetto amato e aspira a un suo pos­sesso asso­luto, senza limiti e pre­oc­cu­pa­zioni. Que­sta pre­tesa della pas­sione di igno­rare la sog­get­ti­vità del suo oggetto mette in discus­sione la sua per­ma­nenza per­ché un oggetto privo di una pro­pria auto­no­mia e volontà e ridotto a cosa inerte, mani­po­la­bile, non è real­mente vivo e desi­de­ra­bile. Se vuole per­si­stere, la pas­sione deve pro­teg­gere ciò che ama, assu­mendo la respon­sa­bi­lità dei suoi eccessi.

’amore respon­sa­bile rico­no­sce l’autonomia del suo oggetto a costo di una pro­pria limi­ta­zione che è anche espo­si­zione alla pas­sione dell’altro: ciò che, supe­rata una soglia, non si può otte­nere per pos­sesso diretto senza distrug­gere l’oggetto, lo si ottiene lascian­dosi pos­se­dere da esso. Alle sue radici il dono è espo­si­zione, dono di sé che com­porta il rischio di essere strumentalizzati.

Que­sta espo­si­zione –donarsi alla pos­si­bi­lità di una reci­pro­cità ane­lata ma per nulla scon­tata– non è ancora un dono per l’altro. Diventa tale se l’altro acco­glie la rela­zione d’amore che la dona­zione di sé inse­gue, senza abu­sare del donatore.

Nella rela­zione d’amore il dono di sé diventa dono di libertà all’amato: libertà di ricam­biare secondo un modo pro­prio, per­so­nale di rice­vere e di amare, senza essere deter­mi­nato dal desi­de­rio dell’amante (libertà di essere inte­ra­mente nella rela­zione senza essere inte­ra­mente dell’altro).

Que­sta prima forma di dono reci­pro­ca­mente rico­no­sciuto come tale, che isti­tui­sce l’incontro tra gli amanti come luogo della più intima e devota delle cure, è la pre­messa dello scam­bio di doni come offerta d’amore: donare l’uno all’altro il pro­prio coin­vol­gi­mento che rende pos­si­bile la più com­piuta (mai asso­luta) rea­liz­za­zione del godi­mento. Il passo suc­ces­sivo — la più evo­luta con­fi­gu­ra­zione del dono nella rela­zione amo­rosa– è la possibilità/libertà del sog­getto amato di amare altro dal sog­getto amante.

Il rischio con­nesso al dono è annul­lato nell’atto di carità: con esso si pro­ietta nell’altro la per­ce­zione della pro­pria man­canza e prov­ve­dendo al suo biso­gno mate­riale si crea l’illusione di sfa­marla. Il sen­ti­mento di povertà (espres­sione della pro­pria con­di­zione desi­de­rante) si tra­sforma in pre­sun­zione di ric­chezza e in que­sto modo viene con­ce­pita come gene­ro­sità la rilut­tanza a esporsi. Il dono non è magna­ni­mità ma dichia­ra­zione rischiosa di povertà: “Mi dono a te per­ché mi fa sen­tire povero la tua mancanza”.

Donare è la gene­ro­sità in cui l’umiltà diventa coraggio.

http://ilmanifesto.info/il-dono-e-la-carita/

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