Binswanger e il caso Ellen West

di Giacomo Conserva

4 gennaio 2013


Ellen West (uno pseudonimo), ebrea, di famiglia ricca, morì suicida a 33 anni dopo “una lunga storia psichiatrica” (come si suole dire). Molti anni dopo, nel 1944, lo psichiatra svizzero Ludwig Binswanger pubblicò uno studio presto divenuto famoso sul suo ‘caso’. «Il caso Ellen West» che doveva poi confluire nel suo Schizophrenie, testo chiave della sua Daseinsanalyse(fortemente influenzata dal primo Heidegger, quello di Essere e tempo) e della psicoterapia esistenziale; venne salutato come un modello di penetrazione psicologica: al posto della incomprensibilità attribuita ai pazienti psicotici si aprivano canali di comprensione con il loro mondo, con il loro “progetto di mondo”. Il procedimento di Binswanger (che sfruttava, rielaborate, le categorie base heideggeriane: angosciaessere-nel-mondoquotidianitàessere-gettatideiezione etc.) diviene un modello (collegandosi, per un altro verso, alla corrente fenomenologica aperta da Minkowski e Jaspers). Egli, per parte sua, nonostante contatti stretti con questi ambienti, con la psicoanalisi, con filosofi come Martin Buber, rifiutò sempre di agire da caposcuola e si mantenne sempre isolato. Il suo influsso fu non meno enorme (si vedano per esempio le parole che gli dedica Eugenio Borgna in Le figure dell’ansia, (Feltrinelli 1998). Lo stesso iniziatore della antipsichiatria, Ronald Laing, nella sua prima opera, L’Io diviso (Glasgow 1955), lo inserisce fra i fondatori di un indirizzo non oggettivante nei confronti del mondo dei cosiddetti pazienti psichiatrici.

Da una analisi di questo testo enorme (170 pp.) emergono tuttavia problemi notevoli, interamente suffragati, d’altra parte, dalle ricerche condotte negli ultimi anni sfruttando gli archivi della Clinica Bellevue di Kreuzlingen, oltre a documentazione tuttora in possesso di parenti superstiti della paziente (vedi Albrecht Hirschmüller (a cura di), Ellen West, Eine Patientin Ludwig Binswangers zwischen Kreativität und destruktivem Leiden, Asanger Verlag, Heidelberg, Kröning 2003). 

La Clinica Bellevue era di proprietà della famiglia Binswanger. Venne fondata a metà dell’Ottocento da un primo Ludwig, psichiatra (di origine ebraica, ma convertito al cristianesimo), e diretta poi dal figlio Robert, e quindi dal nipote, il nostro Ludwig Binswanger (allievo di Eugen Bleuler). Era una clinica ad alta intensità terapeutica, come si direbbe ora, che combinava le più avanzate conoscenze e tecniche psichiatriche con socioterapia e ambiente famigliare (con rapporti stretti fra ospiti e membri della famiglia Binswanger); era frequentata da uomini e donne di alto rango sociale (spesso di alto livello intellettuale), provenienti da tutte le parti del mondo, per problemi sia di tipo nevrotico che psicotico; godeva di larga rinomanza e prestigio (vedi il saggio di Annett Moss sulla storia della Clinica: Das Tübinger Projekt zur Erschließung und Auswertung der Krankengeschichten des Binswanger-Archivs, 2002). In questo istituto Ellen West trascorse circa tre mesi, accompagnata dal marito, immediatamente prima della morte per suicidio (suicidio assistito al marito, si è scoperto) che ebbe luogo pochi giorni dopo la dimissione. ‘E chiaramente estremamente insolito che una storia clinica venga pubblicata oltre due decenni dopo la conclusione del trattamento (anche se in effetti anche altrove Binswanger ha proceduto in modo analogo- anche se sviluppando molto meno la sua analisi); tanto più davanti a un livello di elaborazione così approfondito. Si è ipotizzato da più parti un aspetto autogiustificativo davanti alla decisione della dimissione (presa di fatto assieme da Binswanger e dal marito di lei), come pure una risonanza postuma del suicidio, avvenuto nel 1929, del figlio maggiore di Binswanger (che era anche il suo successore designato alla direzione della Clinica). 

Lo scritto di Binswanger è diviso in quattro parti, diversissime fra loro:
a) storia clinica;

b) analisi esistenziale;

c) una discussione del rapporto fra Daseinsanalyse e psicanalisi (Ellen si sottopose a due analisi, entrambe interrotte, prima dell’ingresso alla Bellevue);

d) una analisi clinica-psicopatologica.
Nell’analisi esistenziale Binswanger sfodera tutto il carattere evocativo e suggestivo della sua prosa, come si può capire fino dai titoli delle varie sezioni che la costituiscono: Mondo, Tempo, Eternità (e compaiono termini come “mondo etereo” e “mondo sepolcrale”). La terza parte è una discussione in termini psichiatrici standard sulla diagnosi di Ellen West, diagnosi molto dubbia: allora si oscillò, da parte dei molti specialisti che ebbero variamente a che fare con lei, fra nevrosi edipica, isteria, nevrosi ossessiva, simil-tossicomania (centrata sul cibo), malinconia (parere, questo, di Kraepelin), sviluppo di personalità, schizofrenia indifferenziata (Binswanger, e anche Bleuler). La storia clinica si basa su notizie fornite in parte dalla paziente e (soprattutto) dal marito; su alcune relazioni, contemporanee agli avvenimenti o successive, dei terapeuti che la ebbero in cura; su frammenti di diario e lettere di Ellen, su alcune poesie sue, su uno scritto degli ultimissimi tempi, Storia di una nevrosi, il tutto, si è accertato, mediato, scelto, espurgato di alcune parti “troppo personali”, fattualmente redatto (nel caso di Storia di una nevrosi) da parte del marito (di questo non si trova alcuna menzione nel saggio di Binswanger). Sono comunque brani altamente espressivi, lucidi, spesso toccanti (oltre che senza alcuna traccia di disturbi formali del corso del pensiero, bizzarrie, manierismi linguistici, regressione o decadimento intellettivo; come pure senza traccia di fenomeni psicosensoriali o deliri). Affiora una tendenza dei genitori e del marito (e di Binswanger) a leggere a posteriori quasi in qualunque elemento i segni di un processo patologico in corso: Ellen rifiutò il latte a 12 mesi di età! fino ai 16 anni amava i giochi mascolini! rifiutava l’ambiente (alto)borghese da cui proveniva! fece amicizia con alcune ragazze che desideravano essere magre, slanciate, eteree! a 23 anni ebbe una “spiacevole storia d’amore” con un maestro di equitazione! La sua ‘ostinazione’ diventa un suo tratto strutturale e fondante, è lei che la porta a una rivolta sempre più distruttiva contro il suo corpo, la vita, il mondo. (Non c’è da stupirsi che teoriche femministe abbiano parlato a questo proposito di un atteggiamento assolutamente reazionario di Biswanger nei confronti del ruolo e dei diritti della donna). 

Di fatto Ellen non ha problemi fino ai 20 anni; è intelligente, attiva, piena di interessi; intende iscriversi a economia politica, e dedicarsi a migliorare le condizioni delle masse povere; è stanca dell’“angusto ambiente famigliare”, sogna l’amore. A 20 anni rompe il fidanzamento con un “romantico straniero” (l’espressione risale al marito N.B.), su pressione del padre. Poco dopo affiora un elemento destinato a durare: l’angoscia di ingrassare; inizia a tentare disperatamente di calare di peso. Vengono poi grosse oscillazioni depressive, comunque sempre superate. Si dedica con energia e risultati a attività di assistenza per bambini poveri, si iscrive all’università, che frequenta in un’altra città. Conosce uno studente, e a 24 anni si fidanza con lui. I genitori si oppongono anche a questa relazione: depressione, terribili sforzi per dimagrire, per diventare slanciata, ‘eterea’, come è il suo ideale; arriva a prendere 48 pastiglie al giorno di estratto di tiroide, oltre a lassativi; si riduce in condizioni fisiche disastrose, ma ora è soddisfatta perché il peso è calato. Viene ricoverata d’urgenza in una clinica (diagnosi morbo di Basedow!), e lì ingrassa 30 chilogrammi, nell’angoscia totale. 

A un certo punto incontra un cugino: questi, un giurista, incarna la rispettabilità e l’appoggio dei genitori. Dopo molte esitazioni e code del rapporto con lo studente lo sposa infine, a 28 anni. È sempre perseguitata dalla paura di prendere peso; odia il proprio corpo; prende tiroidina e lassativi, fa con il marito passeggiate infinite per dimagrire. Ha un aborto, verosimilmente collegato alla pessima nutrizione. A 29 anni si fermano le mestruazioni; poco dopo si interrompono i rapporti sessuali con il marito. Continuano le oscillazioni di peso, mentre le condizioni fisiche e psicologiche peggiorano. Inizia una prima analisi (con Von Gebsattel, che più tardi diverrà famoso come fenomenologo — ebbe, oltre 20 anni dopo, in cura Martin Heidegger), che dura meno di un anno e non conclude molto. A 32 anni seconda analisi; l’analista lavora fra l’altro sul rapporto con il marito, che tenta di tenere a distanza; le cose assumono un andamento vorticoso: un primo tentativo di suicidio con farmaci, poi un altro a brevissima distanza; tenta di buttarsi dalla finestra dello studio dell’analista; all’angoscia di ingrassare si è aggiunta l’ossessione del pensiero del cibo, che le riempie costantemente la mente. Soffre enormemente, desidera morire. 

Nel gennaio 1921 il marito la porta alla Clinica Bellevue, sfruttando le vacanze dello psicanalista per interrompere l’analisi. Uno degli obiettivi è stabilire in modo definivo diagnosi e prognosi della malattia. Dopo una breve fase iniziale di tranquillità le condizioni ridiventano disastrose. Continua a desiderare la morte; tenta di sfondare la testa contro una lastra di pietra; offre una enorme somma di denaro a un contadino perché la uccida. Si tiene un consulto con Bleuler (l’eminente psichiatra di Zurigo, maestro di Jung e di Binswanger, il coniatore della parola “schizofrenia”) e un altro luminare, c’è accordo sul carattere psicotico del processo, e sulla impossibilità di fornire cure sicuramente utili. Il marito, che è stato accanto a lei in clinica per tutto questo periodo, rifiuta il passaggio ad un reparto chiuso (non essendovi, dice, garanzia di interventi risolutivi); Ludwig Binswanger la dimette, come lei stessa ha chiesto, nella piena consapevolezza, estesa al marito di lei, che l’esito probabile sarà la messa in atto del suicidio. Qualche giorno di serenità estrema (almeno nella versione ufficiale), e di interna festosità: per la prima volta da anni mangia e si abbuffa senza problemi (dolci! cioccolatini!), legge tranquilla poesie di Goethe, Rilke, Storm, Tennyson, e testi di Mark Twain; alla sera scrive lettere e si suicida con il veleno (che, si scoprirà 80 anni dopo, il marito le ha procurato). 

Il ricordo di questi eventi rimane a lungo presente nella mente di Binswanger; questi intratterrà per moltissimi anni un rapporto epistolare con il marito di lei; ancora molto più tardi parlerà della decisione di dimetterla (che ha sempre rivendicato) come di quella più difficile della sua carriera professionale. Tutto lo scritto ha una vena sotterranea di profonda emozione e l’andamento del panegirico antico — il discorso funebre dedicato agli eroi caduti. Con acribia e attenzione tutto viene ripercorso e analizzato, con un tono spesso di alta eloquenza oltre che con uno strumentario concettuale e metaforico enormemente sviluppato e raffinato (1). Come ricordato sopra, questo studio divenne famoso ed apparve esemplare. Il mondo interiore degli schizofrenici diveniva finalmente non più solo bizzarramente alieno (più in generale veniva indicata la strada della comprensione, come contrapposta a quella della spiegazione). Non solo Rollo May, Cargnello, Laing o Borgna vi si sono riferiti, ma i manuali di psichiatria più ufficiali. Poesie e canzoni vennero dedicate a Ellen West. Il ‘mondo della tomba’ divenne perfino uno dei leit motiv di parecchi romanzi di fantascienza di Philip K. Dick (i cui androidi — come quelli gelidi, non empatici, ‘disumani’ di ‘Blade Runner’ — erano ricalcati sugli schizofrenici binswangeriani). Come tutti i testi classici, in questi anni esso ha sollecitato riesami, interpretazioni e re-interpretazioni da svariati punti di vista, per tutto quello che dice e tutto quello che non dice (ovvero volutamente nasconde o distorce); queste centosettanta pagine sono comunque destinate a rimanere come un monumento funebre alla memoria di questa giovane donna, alla sua ricerca di significato per la propria esistenza, alla sua lotta contro l’angoscia e il dolore. 

(“Anoressia nervosa, paranoia sensitiva, l’audace volo verso l’alto come Ellen West e poi la terribile caduta via dall’Eigenwelt, tutto quanto. E infine il Mondo della Tomba. Tutto questo, chiaramente, è già successo a Jamis.” (2)) 


(1) Stranamente- o forse no- manca qualunque indicazione cronologica, a parte i riferimenti all’età di Ellen e accenni a come tutto si svolgesse molti anni prima della scrittura del saggio; tutte le date di cui sopra vengono dal materiale degli archivi della clinica e della famiglia. Manca pure qualunque collocazione geografica precisa; viene detto che la famiglia di Ellen si era trasferita ‘oltremare’ (gli Stati Uniti?) e che poi i genitori e alcuni dei figli ritornarono in Europa (era la Germania); si parla di una vacanza in Sicilia quando lei aveva 20 anni, e di un successivo viaggio a Parigi, ed è tutto. Una decontestualizzazione così spinta colpisce (ed è sicuramente funzionale al quadro che Binswanger traccia del progetto di mondo di lei, completamente astorico, come sub specie aeternitatis); in fondo si parla del destino di una donna ebrea, e il testo è stato scritto durante la Seconda Guerra Mondiale, ai tempi del Terzo Reich e della sua lotta contro il giudaismo internazionale; e il mondo aveva comunque visto negli anni precedenti una altra guerra mondiale, trasformazioni e sommovimenti e sociali massicci, rivoluzioni, crisi economiche devastanti.

(2) Philip K. Dick, The dark-haired girl, Ziesing, 1988 (p. 34); da una lettera del 1972.


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