La nevrosi: dalla vita alla carta

di Giovanna Nappi, letteratu.it, 26 giugno 2014

 

Ossessione e psicosi, follia e nevrosi. Non soltanto oggetto della psicanalisi, ma anche fase esistenziale di scrittori tormentati. È stata essa stessa oggetto di una parte fondamentale della letteratura novecentesca.
In Italia si parla della psicanalisi per la prima volta grazie ad un caso letterario, quello di Italo Svevo. Nel 1908 Svevo conosce Freud, del quale legge L’interpretazione dei sogni, che pubblicherà poi nel 1918. Il 1923 è l’anno decisivo: La coscienza di Zeno racconta le vicende del suo protagonista, segnate dalla nevrosi, in chiave psicanalitica. Non più fatti reali, ma coscienza, autoinganni, stati mentali. La letteratura ne sarà segnata definitivamente.
Ma non è tutto. Dalla carta si passa alla vita. Il Novecento è il secolo dell’interiorizzazione della follia. Si ricordi Dino Campana. La sua intera esistenza è stata segnata da una lunga serie di internamenti in manicomio, che si manifestano sin dalla più giovane età come primi disturbi nervosi e sino a diventare una vera e propria forma di psicosi schizofrenica (la ebefrenia, come diagnosticò lo psichiatra Carlo Pariani), che gli costerà l’internamento definitivo nel 1918 presso l’ospedale psichiatrico della Villa di Castelpulci in provincia di Firenze.
Quel “male oscuro” da cui era affetto avrebbe compromesso, in vie brillantemente creative, la sua stessa opera letteraria. La vicenda editoriale di Canti Orfici ne è un esempio. L’opera era il risultato dell’unione di pezzi staccati – MontagnaLa chimeraRicordi di un vagabondo, ecc. – poi rielaborati all’interno di un manoscritto unico. Il primo manoscritto, Il giorno più lungo, viene affidato nella sua versione originale nelle mani di chi allora dirigeva la rivista letteraria Lacerba, vale a dire Ardengo Soffici e Giovanni Papini.
Leggiamo dallo stesso Campana: «venuto l’inverno andavo a Firenze al Lacerba a trovare Papini che conoscevo di nome. Lui si fece dare il mio manoscritto (non avevo che quello) e me lo restituì il giorno dopo e in un caffè mi disse che non era tutto quello che si aspettava ma che era ‘molto molto’ bene e mi invitò alle Giubbe rosse per la sera… per tre o quattro giorni andò avanti poi Papini mi disse che gli rendessi il manoscritto ed altre cose che avevo, che l’avrebbe stampato. Ma non lo stampò. Io partii non avendo più soldi (dormivo all’asilo notturno ed era il giorno che facevano le puttane sul palcoscenico alla serata futurista incassando cinque o seimila lire) e poi seppi che il manoscritto era passato in mano di Soffici. Scrissi 5 o 6 volte inutilmente per averlo e mi decisi di riscriverlo a memoria…»
Dunque, riscrivere a memoria un manoscritto di poesie, nell’arco di una notte, o poco più, con alcune notevoli modifiche, che l’avrebbero oltretutto migliorato. Il manoscritto originale, allora perduto, sarebbe stato ritrovato solo nel 1971 tra le carte di Soffici, e successivamente pubblicato due anni dopo.
E ancora, dalla vita alla carta. È il 1963, Carlo Emilio Gadda pubblica La cognizione del dolore. La storia di Don Gonzalo è la storia della sua follia, fatta di silenzi, scatti d’ira improvvisi. Affetto da schizofrenia paranoidea, il protagonista vede cospirazioni contro la sua persona in ogni momento.
E Gadda aprirà la strada ancora una volta verso un percorso letterario che sarebbe stato ripreso in seguito da Malerba, con Salto mortale (1969), o ancora da Samonà, con Fratelli (1970).
Una letteratura la cui evoluzione nel corso di tutto il XX secolo è stata costellata di storie folli, di scrittori altrettanto folli. Probabilmente senza tutta questa follia, non sarebbero nate alcune delle storie migliori del Novecento.

http://www.letteratu.it/2014/06/26/la-nevrosi-dalla-vita-alla-carta/

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