Spinoza voleva fare di sé un uomo libero. Non sappiamo se ci sia riuscito. Ma oggi siamo di fronte a un bivio: la fascinazione per la condizione postumana come aspetto cruciale della nostra storicità e la preoccupazioni per le sue aberrazioni e per i suoi abusi di potere. La tesi avanzata dal libro di Rosi Braidotti è che questo approccio binario, basato sull’opposizione tra il dato e il costruito, possa essere progressivamente sostituito dalla teoria (non dualistica) dell’interazione tra natura e cultura.

di Maria Vittoria Ludovichi, giancarloricci.blog.tiscali.it, 16 giugno 2014

ll postumano, ecco il titolo del libroMa anche il sottotitolo non scherza: La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte (DeriveApprodi, Roma 2014). Braidotti, docente di Studi di genere presso l’Università di Utrecht, allieva di Michel Foucault e Gilles Deleuze, espone la sua nuova intuizione filosofica a proposito dell’esperienza umana. Tale intuizione potrebbe aprirsi con una domanda paradossale: siamo sempre stati “umani”? La nostra “seconda vita”, nota Braidotti, è situata oggi negli universi digitali, nel cibo geneticamente modificato, nelle protesi di nuova generazione. Le tecnologie riproduttive costituiscono ormai gli aspetti familiari di una condizione postumana. Tutto questo ha cancellato le frontiere tra ciò che è umano e ciò che non lo è, rivelando le fondamenta non naturalistiche dell’umanità contemporanea.

Simile approccio si lega alla filosofia di tradizione monistica – potremmo dire sulla scia del pensiero spinoziano riletto da Gilles Deleuze – che rifiuta i dualismi, specialmente l’opposizione natura-cultura concentrandosi piuttosto sulla forza autopoietica della materia vivente. Si evince che la teoria sociale necessita di fare il punto sulla trasformazione dei concetti, dei metodi e delle pratiche politiche. Deleuze, in Spinoza filosofia pratica (1981), scrive che “la filosofia di Spinoza è uno dei tentativi più radicali per costruire un’ontologia pura: una sola sostanza per tutti gli attributi, infiniti modi di essere per ciascun attributo”. La sostanza spinoziana è come un piano di immanenza in cui si trovano anime, corpi, individualità, senza alcuna dimensione teorica trascendente. Tornando al testo di Braidotti ci chiediamo: che cosa vuol dire diventare postumani? Gli umani stanno esperendo la postumanità attraverso un processo di ridefinizione del senso di connessione dell’uomo con il mondo. L’uomo, mai come oggi, risulta al contempo uomo sociale, psichico, ecologico ed infine planetario. Il divenire postumani esprime molteplici ecologie dell’appartenenza. Mentre egli innesca la trasformazione delle coordinate sensoriali e percettive, riconosce la natura collettiva e l’apertura verso l’esterno di ciò che ancora concerne il soggetto. Tale soggetto è un assemblaggio mobile in uno spazio di vita condiviso che egli non controlla né possiede, ma che semplicemente occupa, attraversa, sempre in comunità, in gruppo, in rete. Secondo la teoria postumana il soggetto è un’entità trasversale, pienamente immersa in e immanente a una rete di relazioni non umane (animali, vegetali, virali).

Il soggetto incarnato, zoe-centrato, è preso in collegamenti relazionali di tipo virale che lo connettono a una vasta gamma di altri, partendo dagli eco-altri fino ad includere l’apparato tecnologico. Questa ontologia processuale centrata sulla vita conduce il soggetto postumano a confrontarsi lucidamente con i suoi limiti, senza cedere al panico o alla malinconia. L’ideale etico è quello di attualizzare gli strumenti cognitivi, affettivi e sensoriali per coltivare un maggior grado di responsabilizzazione e di affermazione delle interconnessioni di ciascuno nella sua molteplicità. La selezione delle forze affermative che catalizzano il processo del divenire postumano è regolata da un‘etica della gioia e della positività che opera tramite la trasformazione delle opere negative in passioni positive. Il pensiero postumano nomade anela ad un salto di qualità fuori dal familiare, confida nelle possibilità, ancora inesplorate, aperte dalla nostra posizione storica nel mondo tecnologicamente mediato di oggi. E’ un modo per situarsi, scrive Braidotti, all’altezza dei nostri tempi, per accrescere la libertà e la nostra comprensione delle complessità di vivere, in un mondo non più antropocentrico né antropomorfo, bensì geopolitico, eco-filosofico e “fieramente zoe-centrato”.

In questo libro è in gioco una ricerca nell’ambito delle scienze umane che coglie i cambiamenti nei quali siamo coinvolti e irrimediabilmente “senza appello”. E’ auspicabile che si colga nel soggetto postumano anche quell’angoscia che caratterizza il postumano nella sua soggettività e che ci permette ancora di pensare che il sapere della psicoanalisi è quello rivelato dall’incoscio al soggetto, in quel passaggio definito dall’Io all’Es. La concezione del soggetto nomade proposta da Braidotti (cfr. pag. 197 e seguenti) come un buon punto di partenza si collega ad altri due concetti: il desiderio inteso come pienezza e l’etica postumana. In particolare il concetto di desiderio posto come pienezza e non come mancanza apre a noi psicanalisti l’opportunità di tornare a riflettere su un tema così complesso.

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