I disturbi dell’Io come disturbi di personalità

di Alessandro Nenna

Primo paragrafo

Nei primi anni in cui svolgevo l’attività di psicologo facevo riferimento  al DSM IV  per individuare  i disturbi di personalità orientandomi in base alla  definizione più classica condivisa cioè: Il disturbo di personalità è riferito agli individui i cui tratti di personalità sono disadattivi in modo pervasivo, inflessibile e permanente, e causano una condizione di disagio soggettivo clinicamente significativa. In genere i sintomi dei disturbi di personalità sono ego sintonici (accettabili per la persona) e allo-plastici (la persona tende a cambiare l'ambiente, non sé stesso). Si ha una frequente comparsa dei disturbi di personalità durante l'adolescenza ma tali disturbi presentano delle differenze, talvolta significative, rispetto agli adulti. Un disturbo di personalità è definito come un modello abituale di esperienza o comportamento che si discosta notevolmente dalla cultura a cui l'individuo appartiene e si manifesta in almeno due delle seguenti aree: cognitiva, affettiva, e funzionamento interpersonale e controllo degli impulsi (area comportamentale).

Si forma dai primi anni di vita fino all'età adulta, c’è anche una tipologia o  un modello di personalità a cui bisogna riferirsi, ad es. "tipo di personalità istrionica" o "modello di personalità istrionica". Questo perché non si tratta di una personalità "normale" che ad un certo punto diventa "disturbata", ma una personalità che a seguito di diversi fattori (ambientali, biologici, traumatici, ecc.) può assumere schemi e modelli disadattivi.

Il pattern deve presentarsi in un'ampia gamma di situazioni sociali e comportare una condizione di disagio, personale, sociale e lavorativo, clinicamente significativa, anche se questo non è sempre riconosciuto dal paziente, il quale manca di insight ossia non si rende conto del proprio impatto sugli altri e non tende a cercare aiuto.La disadattività può insorgere nella prima metà della vita adulta ma può essere visibile già nell'infanzia, generalmente è stabile nel tempo e presenta un carattere inflessibile e pervasivo nelle diverse aree della vita, inoltre, comporta conseguenze in termini di sofferenza soggettiva e limitazioni nelle relazioni e nell'area lavorativa.

Quanto al DSM IV, e adesso da poco pubblicato il V, ho sempre avuto difficoltà ad inquadrare il tipo di disturbo di personalità facendolo coincidere  il numero dei criteri utili per confermare la diagnosi. Di certo una cosa mi era chiara, il fatto che spesso dietro a dei sintomi di asse I come ansia e depressione, oppure a situazioni di disagio familiare, lavorativo e affettivo, poteva esserci celato, un disturbo di personalità. La situazione in questo modo diviene vantaggiosa dal punto di vista terapeutico, poiché si presenta il presupposto, durante il percorso di psicoterapia, di riflettere con il paziente su questo disagio, sfruttando l’ego-distonia della comorbilità, visto che il disturbo di personalità essendo ego-sintonico, non avrebbe mai portato il paziente in terapia.

Negli anni di pratica da psicoterapeuta in formazione, mi sono un pò sganciato nella ricerca di quadri di riferimenti così precisi, tranne che in alcuni ambiti riferiti alla valutazione clinico/legale che avevano come scopo preciso, quello di rispondere a dei quesiti formulati da  committenti, come Giudici. Ho sentito l’esigenza di spostare la mia attenzione  di clinico, su altri criteri di valutazione come quello di  struttura e categoria clinica, nevrotica, psicotica e perversa, che fanno più riferimento ad autori, quali Freud e successivamente Lacan.

I due autorevoli autori procedono all’unisono anche se  la clinica di entrambi attraversa  due prospettive epocali diverse: il primo studia la clinica dell’edipo tipica di una società bigotta ed arretrata quale era quella dell’epoca, incentrata su regole morali restrittive prodotte da istanze massicciamente limitanti, e ciò creava  problemi nei confronti  del rimosso di taluni soggetti. Desideri inconsci repressi  che, allo stesso tempo si facevano comunque strada, per esprimersi attraverso  forme peculiari sintomatiche come i disturbi di conversione e, l’altra dalla clinica dell’antiedipo che  parte dalla riflessione di Marx del plus-valore [1], incentrata su una società post-capitalistica dove, le istanze non sono affatto restrittive,  il discorso del padrone che detta il significante dell’efficienza (S1) praticamente si sposta  sull’agente dell’oggetto causa del desiderio piccolo (a) [2] aperto a tutto senza limite, dove il  Super-Io non rappresenta più l’istanza morale che formula il discorso del limite, ma del godimento.

La clinica dell’edipo, è quella che da per scontato che il soggetto sia stato inserito nel discorso della metafora paterna[3], come possibilità del soggetto stesso di risolvere la relazione dell’imago madre-bambino sostituendola con altre   più mature tale da permettergli la sua soggettivazione, mentre la  forclusione sarebbe fattore di psicosi. 

Nella clinica lacaniana l’istanza paterna determina il registro del  simbolico, quando il simbolico difetta avviene la rimozione del nome del padre  che, per effetto del reale, può essere toccata creando manifestazione sintomatiche che combattono per il ritorno al rimosso. Siamo in una clinica ancora della formazione dell’inconscio, e dell’edipo.

Prima di addentrarmi oltre voglio fare un’ulteriore premessa ricordando che  come nella topica di Freud c’era Es, Io e Super-Io, per  Lacan, esistono  tre registri : reale, simbolico, immaginario[4].

Nella  situazione contemporanea, i sintomi  hanno un fondo più  psicotico che rispondono alla logica dell’allucinazione. Di fronte alla caduta simbolica definita dal limite dell’istanza paterna, c’è un comportamento  all’agire compulsivo sul versante del  godimento che appartiene  al registro del reale, in questo modo i sintomi si impongono come scarica all’agire con il passaggio all’atto, come si può notare in certe manifestazioni dei  disturbi alimentari. La clinica attuale ci obbliga a riprendere i concetti principali della clinica freudiana della psicosi. Freud e Lacan sostengono che non c’è continuità strutturale tra nevrosi e psicosi poiché nella psicosi il potere dell’Es non tiene conto della realtà esterna, mentre nella nevrosi il potere a cui il soggetto soccombe è il potere della realtà esterna che obbliga la rimozione dell’istanza del desiderio. La clinica di Freud nasce sul fondamento del  valore metaforico, sul linguaggio metaforico costituito dal registro simbolico che viene acquisito con il carattere normativo dell’edipo.  Fu questo l’insegnamento di Freud attraverso la cura dell’isteria, dove il corpo che si faceva teatro di una messa in scena, significante del corpo che parla. Attraverso la rimozione del nome del padre il processo simbolico fa ritorno anche se, in una forma simbolicamente da decifrare. Per Freud, il sintomo come formazione dell’inconscio tiene il posto di qualcos’alto che fa ritorno come sostituto. Quindi siamo sempre nell’ordine del processo edipico,  ma con i suoi aspetti organizzati dai significanti attraverso la metafora paterna.  In questo processo l’acquisizione simbolica  del significante serve a rappresentare il soggetto e il suo desiderio. Quando il processo simbolico  scompare, abbiamo l’espressione sintomatica come fenomeno di senso  che si dispiega in forma enigmatica, che a differenza del sogno, diviene permanente e non momentaneo.   Ecco perchè siamo sempre nel processo edipico perchè il soggetto è sempre definito all’interno di una legge paterna fallica dove il fallo non rappresenta il fallo reale ma è un fallo metaforico vicino alle tesi dello strutturalismo, richiamando l’idea che l’inconscio è strutturato come un linguaggio[6].

Nel sintomo psicotico, viene meno il processo simbolico rappresentativo del significante e della funzione stessa dell’inconscio. Nel seminario IX dedicato ai quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Lacan introduce il concetto di olofrase a proposito della psicosi, che descrive come il soggetto in questa struttura clinica non viene rappresentato ma ne è incollato. Qui il sintomo non funzione più come un significante che rappresenta una significazione rimossa inconscia, ma diviene  una sorta di “numero silenzioso indecifrabile”[7] fissato su un punto del godimento che rappresenta l’istanza del registro del reale, che non ha nulla a che fare con il processo metaforico dell’espressione sintomatica che diviene continua espressione mediante la sua ripetizione perpetua priva di senso. Infatti la clinica delle psicosi è detta anche clinica del reale, da cui parte la riflessione per una nuova clinica contemporanea. Caratterizzata dall’assenza della metafora sintomatica. Quindi i sintomi quali anoressia,  bulimia, tossicomania, depressione, possono appartenere sia a strutture nevrotiche che psicotiche a seconda se il significante lo rappresenta in maniera metaforico o se con l’assunto della ripetizione olofrasica del godimento.  Il concetto olofrasico lo riscontriamo in maniera isolato e non tucur (non mi ricordo come si scrive in francese) come la psicosi, nelle sintomatologie psicosomatiche  dove, il sintomo è incollato all’organo danneggiato fissato come segno di devastazione traumatico del reale.

Andrè Green ha focalizzato bene un’originale definizione di quelli che possono essere nell’epoca contemporanea i disturbi di personalità e stati limite non come una categoria classica ma come punto di svolta tra il concetto di struttura perversa non più visto come il positivo della nevrosi, dove il perverso secondo una formula classica di Freud, mette in atto un comportamento dove, il nevrotico lo fantastica solamente. Mentre invece oggi i disturbi di personalità sono incentrati alla disinibizione generalizzata  dei passaggi all’atto come pura espressione di godimento  senza senso di colpa, dove passaggi all’atto possono essere anche le abbuffate e le restrizioni alimentari estreme e  quindi svincolati da un’ottica riferita all’Altro come rottura simbolica della rimozione[8].  In questo caso come sostiene A. Green il modello della nevrosi e della perversione si basa sulla psicosi. Oppure sempre in riferimento ad A. Green sul concetto di psicosi bianca come condizioni di psicosi senza psicosi perchè senza fenomeni elementari (deliri, allucinazioni, passaggi all’atto) dove il funzionamento psicotico del soggetto funziona attraverso il suo vuoto esistenziale di pensiero, in assenza di simbolizzazione che, comporta la costante presenza di un oggetto intrusivamente presente. Infatti un’altra differenza che si presenta è quella dell’angoscia dove se per il disturbo nevrotico è quella di castrazione, nella psicosi è di intrusione e di separazione sempre secondo la teorizzazione di Green. Anche Otto Kemberg sulla personalità borderline fa riferimento a meccanismi di difesa arcaici tipici della psicosi, sostiene  che la clinica della rimozione sia divenuta insufficiente per inquadrare il fenomeno attuale dei disturbi di personalità che non è più in grado di riflettere sul carattere del soggetto al confine nevrosi-psicosi ma indica una nuovo assetto strutturale incapace del funzionamento simbolico della rimozione adottando meccanismi di difesa più primitivi.  

 

Introduzione al secondo paragrafo

Facendo riferimento al  sintomo metafora e sintomo olofrasico,  Lacan, quest’ultimo lo descrivere sul   fenomeno psicosomatico come sintomo che rimane fissato in qualunque delle tre strutture. Quindi nel caso specifico  lo psicosomatico non si trova soltanto nella psicosi, ma anche nella perversione e nella-nevrosi.
A differenza  invece del sintomo isterico,  è che questo è una conversione somatica che rimanda ad un significante enigmatico, ma spostabile, quando invece e' fisso, come il concetto olofrasico si fissa come succede nella psicosi, ora e' proprio utilizzando questo sintomo non spostabile che molti psicotici riescono a tenersi uniti, a ricreare un proprio mondo, (cosa e' l'invenzione che fanno certi psicotici) utilizzano un sintomo di questo tipo non spostabile, al posto della metafora paterna che non ha funzionato, questo adattamento sintomatico Lacan lo chiama  con il famoso neologismo"sinthome"
[9]. Lacan lascia al sintohme  il valore di metafora  al soggetto, mentre invece il sintomo che Lacan ritrova in una persona precisa che e' James Joyce  gli serve di pseudonome del padre, come se la struttura psicotica si ricrea intorno a un sintomo fisso che gli da una stabilita' e una pacificazione.

Kernberg aveva detto che la personalita' poteva funzionare come stabilizzatore per dei borderline, Lacan invece dice al contrario, che non e' la personalita' ma e' questa forma di sinthomo cioe' una costruzione immaginaria che il soggetto crea per mantenere una sua unita'. Bisogna essere assolutamente attenti con questi tipi di pazienti specialmente nei primi incontri preliminari di psicoterapia perche dietro un soggetto apparentemente nevrotico può nascondersi una psicosi.  Poichè  non necessariamente c'e' una sintomatologia ben distinta, può capitare che se non c’è iscrizione del significante paterno, andando a trattare il sintomo può scatenaresi la psicosi.

Perchè parlo di clinica di Lacan quando penso ai disturbi di personalità? Perche usa lo stesso linguaggio    dei miei  pazienti, quando sento loro che parlano dei propri sintomi, e nelle espressioni delle loro libere associazioni ho l’impressione che hanno letto il suo testo. Come (X), con il disturbo alimentare, mi dice che nonostante la sofferenza che gli porta il sintomo, si sente simile  alla madre con la stessa problematica, nell’organizzare la sua vita intorno all’attenzione ossessiva per il cibo, senza quindi poter rinunciare alla ripetizione che persegue quel godimento che tocca, mettendosi nella posizione che occupa il posto del fantasma della madre, intrattenendo questa  relazione immaginaria con la madre essa stessa diviene  il suo fallo immaginario. Questo desiderio inconscio viene espresso in un  suo sogno dove  le due donne  urinano insieme, e qui ci sono tutti i presupposti per rinviarci al godimento del corpo viscerale, ma più di tutto parla di Lacan quando dice che per non lasciarsi andare al digiuno ha bisogno della voce giuda, (il significante che le permetterebbe di svincolarsi da questa relazione mortifera) di qualcuno (in questo momento il tanto ricercato nuovo fidanzato) che la invogli a mangiare e quindi a vivere, voce guida che Lacan chiama il significante  S1, il primo significante, capace attraverso la catena simbolica, di rappresentare il desiderio materno sostituendolo con la metafora paterna, ,  il tutto gli   permetterebbe di distanziarsi dal fare uno con il  corpo materno.  Dove  S1 però recuperato altrove cioè dalla voce del padrone del discorso del capitalismo, dello scientismo contemporaneo o dall’università, o ancora dall’istruzione padegogica o dalle psicoterapie riabilitative di stampo  tecnicistico, diventa l’imperativo categorico che ripete  ossessivamente  fino allo sfinimento “devi funzionare”, generatore di una  nuova relazione speculare di stampo paranoico, i a (riferimento in seguito) fino a che regge. Un Io immaginario spossante ma necessario perché deve mantenere l’angoscia del sua debole investimento narcisistico dell’immagine costituente di Sé che nell’espressione del suo inconscio sente tutto il cedimento  espresso dalla metafora dei suoi capelli sempre   elettrizzati  e la costante paura di non coincidere con la propria immagine femminile allo specchio segnata da una paura fantasmatica delle unghie che cadono che rinvia alle angosce di frammentazione. Come questo vissuto non può riportare alla celeberrima teoria della fase dello specchio come formatore dell’Io per risolvere la questione del corpo in frammenti o corpo morsellè attraverso l’idealizzazione della prima immagine costituente di Se. Di questi esempi tra i miei pazienti c’è ne sono davvero tanti.

 

Secondo paragrafo -Disturbi di personalità

Vorrei inquadrare il tema dei disturbi di personalità come disturbi dell’Io, l’Io non visto però dalla prospettiva della psicoanalisi post freudiana di stampo nordamericana di  Hartmann e l’ego-psychology  che riducono il loro lavoro terapeutico sull’Io come  operazione ortopedica di correzione, ma osservati dal punto di vista degli approcci   Fenomenologici e Psicoanalitici freudiani e lacaniani  che si rifanno alle tesi sartriane de “l’essere e il nulla o “la trascendenza dell’ego”, orientati   sul soggetto dell’inconscio.  Lacan partendo dall’analisi di Freud del saggio Introduzione al narcisismo[10], e da Hegel definisce L’Io non il soggetto ma solo il suo miraggio. Lacan più di Freud, il quale pensava di riportare alcuni aspetti dell’Es all’Io, pensa al contrario, l’Io è una realtà inesistente del tutto immaginata e credersi tale costituisce la vera follia dell’uomo.

Dalla nozione di Io iniziata  da Freud sembra che la clinica incentrata sul il disturbo di personalità, parte proprio da questa analisi.L’istanza che Freud ha chiamato Ich, istanza complessa  principio organizzatore, è allo stesso tempo causa di  disturbinell’emergere del soggetto. Se in Freud l’Io esoggetto sono concetti a volte indistinti e sovrapponibili, Lacan li distingue, l’uno come identificazione alla forma totale, idealedell’immagine speculare e come rappresentazione immaginaria dell’unità del corpo (i a) e l’altro comesoggetto del desiderio inconscio.

Lacan respingerà sempre di più le psicoterapie dell’ego psychologie e il suo concetto di Self,  invece autori come Kernberg e Kohut, la proseguono per distanziarsene.  E’ infatti loro obiettivo comune è il tentativo di risolvere le ambiguità e le contraddizioni che si incontrano in Freud, che attribuisce all’Io la funzione della percezione-coscienza, dell’organizzazione e del controllo della vita psichica, di adattamento alla realtà,  a partire dallo studio sul narcisismo,  dove prosegue con il concetto di Io-corpo, istanza di superficie e proiezione di una superficie, e soprattutto è in gran parte inconscio[11].

 

La nozione di disturbo della personalità deve molto all’elaborazione di questi autori, da cui emerge che in sostanza corrisponde ad un cattivo funzionamento dell’Io nelle sue funzioni di adattamento e di organizzazione e controllo. In un primo tempo la nozione sembra affermarsi non tanto in relazione alle categorie diagnostiche elaborate da Freud: nevrosi, psicosi, perversione e fobia, quanto sulla spinta di strutture non ben situabili secondo queste ultime, individuabili soprattutto nella loro difficoltà di trattamento e di resistenza al transfert: gli stati limite e i disturbi narcisistici.

Più recentemente comunque la diagnosi di disturbo di personalità è venuta a comprendere anche le nevrosi, le fobie e le perversioni, escludendo solo le psicosi più dichiarate. In realtà, rispetto al criterio diagnostico di struttura secondo la modalità di rigetto del Reale, rimozione, diniego e forclusione, avanzato da Lacan, che mirano con forte predominanza all’identificazione immaginaria (i a),  i disturbi di personalità comprendono alcune forme di psicosi, alcune paranoie, edescludono le forme più gravi di nevrosi, che vengono diagnosticate tra le psicosi.

In effetti, questo dipende dalla maggiore o minore tenuta dell’Io di cui sono osservati i disturbi, che è buona in alcuni casi di paranoia ad esempio, meno buona in alcuni casi d’isteria e di nevrosi ossessiva, quando si accompagna a episodi deliranti, sdoppiamenti della personalità, passaggi all’atto. E non c’è dubbio che l’Io sia disturbato dall’inconscio, dal conflitto, dal sintomo contro cui erge difese e resistenze, e che, così disturbato, mal si adatti alla realtà. Adattamento sociale, resistenze e difese sono infatti gli elementi principali che intervengono nella diagnosi di disturbo di personalità.

Dunque posso considerare i disturbi dell’Io, così come abbiamo imparato a concepirlo con Freud e Lacan, all’interno di quelli che sono detti disturbi di personalità, e di riferire tali disturbi, che si presentano magari in forme nuove, alle diagnosi di struttura[12]

 

Riprendendo lo studio sul narcisismo di Freud, Lacan teorizza l’Io, senza trattare l’importante differenza  da fare che il francese rende possibile tra moi e je, come costituito dall’identificazione della/alla rappresentazione speculare di sé.

Prendiamo in riferimento il grafo dello schema L[13]. Lacan sostiene che nel primo asse immaginario vi è definita  una relazione speculare di stampo narcisistico   (a’ a)  dominata dalla confusione di due simili, quindi avviene una relazione dominata da confusione tra l’Io e l’altro (empatia, confusione, aggressività immedesimazione, idealizzazione. Controtrasfert). Mentre sull’asse simbolico definito dalla relazione tra il soggetto dell’inconscio e l’altro (S  A) come luogo  della parola, vengono definite da relazioni basate sulla dialettica

 

 

 Assumiamo la relazione che si muove appunto sull’asse immaginario della relazione speculare di due simili a’ a, queste sono tutte le relazioni che hanno come difetto la confusione dell’Io ma comunque sono costituite dalla prime forme di identificazione che hanno anche come struttura il reale.

L’Io dunque ha una matrice immaginaria, la sua unità e totalità è data dalla forma ideale, che misconosce la sua natura reduplicativa; la sua stabilità e permanenza è tributaria della nominazione e della sua iscrizione nel linguaggio.

Alla luce della notazione dell’Io come (a a’) vi è ancora un ulteriore analisi da compiere nei riguardi dell’Io, compresa con la relazione segnata con il simbolo  i(a) riportato nel grafo dello schema R[14], questo per comprendere  come vanno ad articolarsi nella clinica dei disturbi dell’Iodei tre registri – reale, simbolico ed immaginario – e di come vi si intrecciano

 

 

SCHEMA R:

Non avremo difficoltà a riconoscervi come tratti caratteristici una fragilità del registro simbolico, la preminenza dell’immagine, l’emergenza di un reale traumatico. In particolare ciò che fa difetto è la simbolizzazione della divisione che si produce, al momento della costituzione dell’Io, tra Io e soggetto, e tra la rappresentazione dell’oggetto e il reale dell’oggetto; la divisione mal simbolizzata comporta la perdita all’interno dell’Io di una tensione dialettica tra le istanze che si costituiscono grazie appunto all’efficacia della simbolizzazione, e ai suoi riflessi nell’immaginario, dialettica tra l’ideale dell’io e io ideale, ad esempio, abbandonando l’immaginario da solo, nella sua instabilità ed inconsistenza, ad esprimere gli effetti dell’incontro con il reale.

 

La divisione dunque o è inefficace nello spingere alla parola e al desiderio, o è soffocata dall’imminenza dell’oggetto, o è denunciata nel suo versante reale di impossibilità ad afferrarlo, o si produce nel reale di una scissione. Non abbiamo più solo davanti un Io che si lamenta di un sintomo che avverte come estraneo, che è tormentato dal conflitto con un desiderio inaccettabile, che si difende dall’inconscio opponendo resistenza al suo riconoscimento come succede nella nevrosi, ma troviamo un Io che stenta a prendere la parola, che non si interroga ma chiede piuttosto di essere interrogato, che non accetta di dividersi dal suo enunciato e lo impone nell’evidenza, che sopporta male l’asimmetria della relazione, che rivendica il diritto al mantenimento del sintomo e cerca solo di ridurne i rischi, o che non sa se ne ha uno, di sintomo, e quale sia. Un Io sommerso dall’angoscia, incerto sulla propria identità, privo di direzioni circa la propria realizzazione, o strattonato tra opzioni equivalenti, un Io dominato dal bisogno di riconoscimento sotto lo sguardo dei simili, che si estenua nella ricerca di adeguamento del reale del corpo con l’immagine, alla deriva nella vita, schiacciato dalla realtà che magari sopporta solo se sostenuto artificialmente. Quando non si tratta di casi di psicosi, oggi il disagio sembra meno legato alla rimozione di un conflitto, alle sue difese, quanto alla perdita dello spessore simbolico dell’immagine ideale che avvolge il reale. Perdita che corrisponde nel discorso sociale alla perdita del valore metaforico della parola, alla prevalenza dell’immagine e alla presenza dell’oggetto fuori rimozione. Discorso sociale che promuove una certa fragilità dell’istanza paterna, della funzione fallica e una destituzione dell’Altro come luogo cui poter rivolgere una domanda e supporre un sapere.  Si potrebbe quindi inquadrare  il disturbo di personalità a partire dal cambiamento di statuto di ciascuno dei tre elementi con cui Lacan ha notato l’Io, a partire dall’insufficienza del simbolico e dal tipo di divisione che si produce. Il primo campo d’indagine naturalmente riguarda le forme paranoiche dell’esperienza nella nevrosi; naturalmente, in quanto sappiamo che Lacan fino dalla sua tesi del 1932 “Della psicosi paranoica nei suoi rapporti con la personalità” mette in rapporto la paranoia alla personalità, per arrivare a dire poco più di 40 anni dopo, nel seminario sul Sinthome (1975-76) che personalità e paranoia non sono in rapporto per il semplice fatto che sono la stessa cosa, riferendosi al fatto che si tratta per entrambi i casi dell’Io e della sua origine speculare. Lo studio della paranoia può essere dunque un luogo dove ritrovare ciò che fa del disagio psichico un disturbo della personalità nel suo insieme più che un sintomo specifico avvertito come tale. L’Io è “naturalmente” paranoico nella sua funzione immaginaria, perché si situa in un’immagine che è altra da sé, alla quale il soggetto resta inchiodato e da cui è minacciato direttamente a livello del suo essere, nella sua parvenza ad essere, nel suo essere una rappresentazione di sè. E’ perché, da quel momento, installa questa immagine altra come matrice di ogni altra rappresentazione e del senso. La forma dell’Io, la sua unità, sostanzialità, permanenza, fonda la forma di tutto ciò che il soggetto sarà portato a riconoscere come oggetti del mondo. E’ per questo che Lacan dice che la conoscenza normale è paranoica, perché si pensa e si riconosce con l’Io e cioè normalmente non si identifica il reale dell’oggetto i (a), ma la sua immagine, i(a), che viene a ricoprirlo. La struttura della prima rappresentazione è dunque di misconoscimento di una divisione, sia del reale dell’oggetto che viene eliso a favore dell’immagine - i(a) - così come del soggetto, a favore dell’io - i(a).

Si rinvia ad una lettura attenta all’elaborazione dello stadio dello specchio e prima ancora allo schema ottico di Lacan  per capire che l’immagine è l’ultima ad intervenire per coprire il buco che la parola scava nel reale, per dare forma ed unità con un Io a qualcosa che ancora non esisteva e come soggetto e come corpo, la funzione del simbolico di rendere presente l’assente e di fissare l’illusorio. Grazie alla struttura simbolica della rappresentazione il nevrotico ne misconosce la struttura speculare e la mancanza di reale integrazione tra l’immagine e il corpo. Lacan parla di antinomia tra il corpo del soggetto e la sua immagine. Questo misconoscimento risolve così un reale, un impossibile che è invece messo in luce dalle forme paranoiche dell’esperienza. In questa ottica i disturbi di personalità riferiti alla personalità nel suo complesso, o meglio allo stile del discorso, del rapporto con l’Altro e con il mondo, un discorso che denuncia una mancanza di divisione interna simbolizzata e giocata nella realtà esterna, come in certi pazienti che più di soffrire della loro problematica affettiva o sociale o lavorativa soffrono delle influenze dallepressioni esterne, che non sopportano più, oppure altri che se in terapia sono sollecitati ad uscire dal loro silenzio producono un discorso che getta in confusione[16].

 

 

 

 

Bibliografia

 

[1] Lacan,J. Lezione del 18 febbraio 1975,Ornicar?, n. 4, p. 106

 

[2] Lacan, J. (2001) Il seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi. 1969-1970, Torino, Einaudi

 

[3] Lacan J. Le sèminaire livre v. Les formation de l’incoscient, 1957-1958, Seuil, Paris 1998 p.174

 

[4] Lacan, J. (1978) Il seminario. Libro I. Gli scritti tecnici di Freud. 1953-54, Torino, Einaudi,

 

[5]  Recalcati M. L’uomo senza inconscio – 2010 Cortina p.151

 

[6] Lacan J. (1953), «Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi», in Id. (1966), Scritti,      vol. i, a cura di G.B. Contri, Einaudi, Torino 1974, pp. 230-316.

 

[7]  Recalcati M. L’uomo senza inconscio – 2010 Cortina p.151

 

[8]  Green A. –psicoanalisi degli stati limite, la follia privata. Cortina Milano 1995 p.65)

 

[9]  Lacan, J. (2006) Il seminario. Libro XXIII. Il sinthomo. 1975-76, Roma, Astrolabio

 

[10]  Freud S. Psicologie delle masse e analisi dell’Io in OSF  vol. p.208

 

[11] Freud S. L’Io e l’Es 1922

 

[12] Miletto R. disturbi di personalità e divisione dell’Io

 

[13] Lacan J. Seminario II p.309

 

[14] Lacan J. Il seminario V Einaudi (2004)

 

 [15] Osservazioni sul rapporto di Daniel Lagache negli Scritti, 1960)

 

[16] Miletto R. disturbi di personalità e divisione dell’Io